Tumori: dal profiling del microbiota diagnosi precoce e terapie personalizzate. È l’alba di una nuova era della ricerca scientifica

Il microbiota è implicato nella modulazione del metabolismo, nei processi infiammatori e nelle risposte immunitarie. Ed è quanto basta per influenzare lo stato di salute di un individuo o per aprire la porta ad una serie di malattie, tra le quali il tumore. In un prossimo futuro il profiling del microbiota entrerà nel progetto di cura dei pazienti oncologici, fungendo sia da biomarcatore, che da bersaglio terapeutico. Su Nature Reviews il punto della situazione nell’articolo di prospettiva pubblicato da ricercatori Gemelli IRCCS e Università Cattolica

Roma, 6 agosto 2020 – Microbioma intestinale e tumori è un binomio che prende sempre più corpo. Studi recenti indicano infatti che alcune ‘configurazioni’ microbiche particolari sarebbero in grado di promuovere lo sviluppo di tumori, ma anche di influenzare la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di alcune terapie oncologiche, dalla chemioterapia all’immunoterapia.

Un argomento molto complesso (il microbioma intestinale contiene trilioni di microrganismi diversi, per un peso totale di 1,5 chili), che mal si presta ad essere studiato con un microscopio.

Per questo oggi si ricorre allo studio del DNA del microbioma e alle tecnologie cosiddette ‘omiche’ che hanno consentito di creare ampie banche dati sull’argomento. Ma anche così è necessario mettere insieme i dati di diversi gruppi di ricerca, creare consorzi internazionali per lavorare sui big data, interpretabili solo attraverso gli strumenti dell’intelligenza artificiale (machine learning, deep learning, reti neurali, ecc).

Una review appena pubblicata su Nature Reviews Gastroenterology and Hepatology (https://www.nature.com/articles/s41575-020-0327-3 ) da ricercatori della gastroenterologia e dell’oncologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, insieme a bioinformatici olandesi ed esperti di metagenomica, fa il punto della situazione su questo campo in rapidissima evoluzione. E apre una finestra sul futuro, suggerendo intanto come organizzare il presente.

Prof. Antonio Gasbarrini

Il profiling del microbiota, attraverso l’intelligenza artificiale, influenzerà nel prossimo futuro la prevenzione, la diagnosi precoce e la terapia dei tumori e di tante altre malattie. E questo porterà ad utilizzare i microrganismi con i quali conviviamo sia come biomarcatore di varie patologie, che da obiettivo terapeutico, inserito in una più ampia strategia di trattamento.

Ne parlano il prof. Antonio Gasbarrini, Ordinario di Medicina Interna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, il prof. Giovanni Cammarota, associato di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, responsabile della UOSA DH di Gastroenterologia e Trapianto di Microbiota, Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e il prof. Giampaolo Tortora, Ordinario di oncologia medica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e direttore della UOC di Oncologia Medica e del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS.

Prof. Giovanni Cammarota

Convivere con un esercito di microrganismi
Un microbioma ben equilibrato svolge a nostra insaputa una serie di compiti fondamentali per il mantenimento dello stato di salute. “Di solito però – spiega il prof. Antonio Gasbarrini, Ordinario di Medicina Interna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – ci si accorge dell’esistenza di questi microrganismi, quando l’equilibrio di questa delicata convivenza si rompe, come accade nel caso di malattie infiammatorie intestinali (Crohn e la rettocolite ulcerosa), sindrome metabolica e obesità, diarrea da antibiotici, disturbi neurologici, malattie cardiovascolari e cancro”.

“Viviamo nell’epoca della medicina della complessità – spiega il prof. Giovanni Cammarota, associato di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, responsabile della UOSA DH di Gastroenterologia e Trapianto di Microbiota, Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – e l’unico modo per progredire nelle conoscenze è ricavare preziose informazioni da enormi moli di dati ricavati dall’analisi del genoma e resi disponibili in open source alla comunità scientifica internazionale, per evitare di duplicare all’infinito esperimenti, facendo ‘parlare’ i dati già acquisiti, per trovare risposte a ipotesi complesse”.

Gli strumenti che consentono di trovare risposte in mezzo a milioni di dati, di cercare il classico ago nel pagliaio sono quelli dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Che sono poi quelli utilizzati per analizzare i rapporti tra microbioma intestinale e cancro. È in questo modo che gli scienziati hanno scoperto che la composizione del microbioma può influenzare la comparsa dei tumori e la risposta alle terapie. E questo fa prevedere che in un prossimo futuro il profiling del microbiota entrerà nel progetto di cura dei pazienti oncologici, fungendo sia da biomarcatore, che da bersaglio terapeutico.

Prof. Giampaolo Tortora

Ma prima che tutto questo diventi pratica clinica, sarà necessario lavorare a fondo sugli enormi database sul microbioma che si stanno raccogliendo, integrare questi dati con quelli tradizionali (anamnesi familiare, analisi di laboratorio, radiologiche, istologiche) e infine ‘far parlare’ i dati, anzi i big data.

“Medicina di precisione – spiega il prof. Cammarota – significa mettere insieme una massa di dati che è enorme anche per un singolo paziente: clinica, esami strumentali e di laboratorio, microbioma con le migliaia di informazioni fornite dalle ‘omiche’. È al di là delle possibilità umane arrivare ad una conclusione tenendo conto di tutti questi dati. Per questo è necessario ricorrere all’intelligenza artificiale”.

Leggere tra le pieghe della ‘flora’ intestinale
Un tempo noto come ‘flora’ intestinale (termine improprio perché il microbioma è fatto di batteri, funghi, virus, e non di ‘piante’), il microbiota è composto da trilioni di microrganismi che dipingono un affresco di oltre 3 milioni di geni. L’assetto base del microbioma normale in un individuo adulto è stato ormai definito.

“Ma questo si può declinare in tante variabili diverse – spiega il prof. Giampaolo Tortora, Ordinario di oncologia medica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e direttore della UOC di Oncologia Medica e del Comprehensive Cancer Center del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – influenzate dalla dieta, dall’etnia, dall’assetto genetico dell’ospite, dall’età e dai farmaci assunti. Le tecniche per studiare composizione e funzione del microbioma si vanno affinando ogni giorno di più (metagenomica ‘shotgun’, le ‘omiche’, come metatrascriptomica, metaproteomica, metabolomica, sequenziamento 16S rRNA), fornendo enormi moli di dati che l’intelligenza artificiale dovrà cercare di tradurre in informazioni utili per la pratica clinica. Il microbiota è implicato nella modulazione del metabolismo, nei processi infiammatori e nelle risposte immunitarie. Ed è quanto basta per influenzare lo stato di salute di un individuo o per aprire la porta ad una serie di malattie, tra le quali il tumore”.

Microbiota intestinale e cancro
“L’Helicobacter pylori – ricorda il prof. Tortora – è il primo microrganismo al quale è stato riconosciuto il ruolo di ‘carcinogeno di gruppo 1’ per il cancro dello stomaco ed è valso ai suoi scopritori un premio Nobel. L’eradicazione di questa infezione rappresenta dunque una strategia di prevenzione consolidata per questo tumore. Ma sono ormai tanti i batteri correlati in qualche modo alla promozione di vari tumori, come quello del colon retto (Fusobacterium spp., Bacteroides fragilis, Streptococcus gallolyticus), del pancreas (Enterococcus faecalis), della colecisti (Salmonella Typhi). Fusobacterium nucleatum e Propionibacterium acnes potenziano inoltre la carcinogenesi intestinale e della prostata, mentre i Clostridium potrebbero promuovere il tumore del fegato.

“I meccanismi alla base della carcinogenesi – spiega il professor Tortora – vanno dalla formazione di un biofilm che crea delle nicchie isolate e blindandole e nascondendole al sistema immunitario, alla produzione di molecole e metaboliti (utilizzabili anche come biomarcatori) che influenzano le risposte immunitarie dell’ospite”.

Tollerabilità ed efficacia delle terapie anti-tumorali
Molti trattamenti antitumorali (chemioterapia, radioterapia, immunoterapia) possono dare effetti indesiderati anche importanti, che possono essere potenziati da uno squilibrio della composizione del microbiota. L’individuazione di ‘assetti’ microbici influenzanti la tossicità intestinale, potrebbe suggerire all’oncologo di ridurre del dosaggio di alcuni farmaci.

Modificare la composizione del microbiota con la somministrazione di alcuni antibiotici, può ridurre la diarrea indotta da irinotecan (un chemioterapico usato per il tumore del polmone), ma anche peggiorare l’infiammazione delle mucose da metotrexate.

“Il microbiota intestinale – spiega il prof. Tortora – è direttamente coinvolto nell’assorbimento e nel metabolismo di farmaci antitumorali, interferisce con gli effetti e la tossicità della chemioterapia e con le attività del sistema immunitario. È noto da tempo ad esempio che l’uso di alcuni antibiotici, che modificano il microbioma intestinale, fa crollare l’efficacia di alcuni chemioterapici e dell’immunoterapia”.

L’attenzione sui batteri ‘buoni’ si comincia a focalizzare su Akkermansia muciniphila, Enterococcus hirae e Alistipes spp, che, se presenti in abbondanza nei pazienti con tumori renali o polmonari, si associano ad una risposta più favorevole agli inibitori dei checkpoint immunitari.

“Ricerche su animali e sull’uomo – ricorda il prof. Cammarota – suggeriscono che la presenza di alcune specie microbiche aumenta la risposta all’immunoterapia, ma le conclusioni non sono univoche. Un limite questo legato al fatto che si tratta studi piccoli e non uniformi”. L’argomento è insomma molto complesso e non valutabile con gli strumenti utilizzati finora dalle scienze mediche.

Fare ricerca con gli strumenti del futuro
“È impensabile studiare la composizione del microbioma, analizzandone i singoli componenti al microscopio – afferma il prof. Tortora – Oggi si preferisce fare un’analisi a tappeto di tipo genomico, andando ad individuare delle firme genomiche. Un gruppo di appena 20 batteri consente di distinguere i pazienti con un tumore da quelli sani; questo, già a scopo diagnostico, può avere un valore, ad integrazione degli esami disponibili e magari guidare verso una diagnosi precoce”.

Se la statistica facilita l’interpretazione dei dati, il machine learning va oltre, consentendo ai computer di risolvere alcuni problemi e di definire dei modelli predittivi. Il computer processa i dati, ‘impara’ da questi (attraverso meccanismi di apprendimento quali i cosiddetti deep neural network), corregge eventuali errori ed elabora predizioni su nuovi dati.

Può cioè prevedere lo sviluppo di una malattia gastro-intestinale prima che se ne manifestino i sintomi oppure fornire un assist nelle diagnosi endoscopiche, facilitando il rilevamento delle lesioni. L’intelligenza artificiale sta velocizzando in maniera incredibile i risultati della ricerca, anche di quelli già traslabili alla clinica. È l’alba di una nuova era della medicina e della ricerca scientifica, scritta a quattro mani dall’uomo e dalle macchine. Con la promessa di incanalare il big bang dei dati verso la medicina di precisione.

Da Tolkien all’intelligenza artificiale: lo studio Hobbit
“Insieme ad un gruppo tedesco e uno irlandese – rivelano il prof. Cammarota e il prof. Gasbarrini – abbiamo disegnato lo studio HOBBIT (“Human gut micrOBiome BIg data and machine learning to predict the immunoTherapy response in cancer”), che è l’applicazione sperimentale di quanto teorizzato in questo articolo. L’obiettivo è quello di individuare il consorzio batterico in grado di predire la risposta all’immunoterapia, attraverso l’intelligenza artificiale. Sappiamo che approssimativamente solo un paziente su 3 risponde all’immunoterapia; questo studio ci aiuterà a capire quali terapie possono funzionare e quali si riveleranno tossiche nel singolo individuo, studiando la composizione del suo microbioma. Questo progetto coinvolge il nostro IRCCS e il progetto ‘Generator’ del prof. Vincenzo Valentini (ordinario di Radioterapia all’Università Cattolica, Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Radioterapia Oncologica e Ematologia e Vice-direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS) fondamentale nel raccogliere l’enorme database clinico e laboratoristico dei pazienti che si avviano al trattamento immunoterapico”.

“Studieremo il microbioma intestinale di questi pazienti con algoritmi di intelligenza artificiale per i quali sono coinvolti i nostri partner tedeschi; in base alla tipologia del consorzio microbico di ogni singolo paziente e dei suoi dati cercheremo di predire la risposta all’immunoterapia. Il profiling del microbioma fungerà insomma da biomarcatore di risposta, per una terapia possibilmente personalizzata e di precisione, e consentirà di risparmiare la somministrazione di farmaci inutili e costosi, selezionando i pazienti che hanno le maggiori chance di risposta all’immunoterapia”.

E in futuro si tenterà anche di ‘addomesticare’ il microbioma intestinale alle necessità cliniche. “Alcuni studi hanno già dimostrato che il trapianto di microbiota intestinale può potenziare la risposta all’immunoterapia o lenire la tossicità di alcune chemioterapie. In futuro – conclude il prof. Cammarota – cercheremo dunque di individuare dei consorzi batterici in grado di interferire con le varie patologie e di trapiantarli in maniera mirata e selettiva. Moduleremo inoltre il microbioma utilizzando probiotici e diete su misura del singolo paziente”.

“Questo è uno dei campi nei quali in futuro si investiranno miliardi – conclude il prof. Tortora – perché ha le potenzialità per rivoluzionare il trattamento delle malattie. La strada è ancora molto lunga, ma la direzione è tracciata”.

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