Tumore al fegato, aumentano i casi in Italia. Diagnosi tardive e stili di vita a rischio
Prof. Edoardo G. Giannini, Ordinario di Gastroenterologia all’Università di Genova: “L’ecografia addominale da eseguire ogni sei mesi, eventualmente associata al dosaggio dell’alfa-fetoproteina, rappresenta lo strumento di sorveglianza attualmente raccomandato per i pazienti a rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare”. In Italia 12.200 nuove diagnosi di carcinoma epatocellulare all’anno, ma oltre 33mila persone vivono dopo una diagnosi di tumore del fegato. Tra le cause più diffuse, i virus da epatite B e C, l’abuso alcolico, e la malattia epatica associata a disfunzione metabolica (MASLD)
Roma, 16 aprile 2025 – Il carcinoma epatocellulare è il tumore primitivo maligno del fegato più frequente e costituisce una delle principali cause di morte per cancro a livello mondiale. Al tema, il XXXI Congresso nazionale delle Malattie Digestive, promosso dalla Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente (FISMAD), che vede la presenza numerosa della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), ha dedicato una sessione.
In Italia, secondo i dati più recenti, nel 2023 sono state stimate circa 12.200 nuove diagnosi di tumore epatico, con un tasso incidenza/letalità ancora vicino all’unità, a segnalare come questa neoplasia sia spesso diagnosticata in fase avanzata e pertanto difficilmente curabile. Attualmente, nel nostro Paese, si stima che oltre 33.000 persone vivano dopo una diagnosi di tumore del fegato.
Eziologia e proiezioni
Il carcinoma epatocellulare insorge quasi esclusivamente in soggetti affetti da epatopatia cronica, in particolare nei pazienti affetti da cirrosi epatica di diversa natura – tra cui, virus da epatite B e C, abuso alcolico, e soprattutto la MASLD o malattia epatica associata a disfunzione metabolica. La steatosi epatica, condizione caratterizzante la MASLD, è attualmente una delle patologie più comuni nei Paesi occidentali, colpendo globalmente circa un terzo degli adulti e fino al 90% dei pazienti affetti da obesità, ipertensione arteriosa o diabete mellito tipo 2. Da qui al 2040 in molti Paesi europei è previsto un aumento dei casi di carcinoma epatocellulare, e questo andamento. è principalmente attribuibile all’elevata assunzione di alcol, all’obesità e alle patologie ad essa collegate, in assenza di adeguati programmi di educazione a corretti stili di vita.
In questo contesto, “il ruolo dell’epatologo è centrale e strategico: una gestione specialistica e precoce delle epatopatie croniche consente non solo di abolire, o rallentare, la progressione della malattia epatica diminuendo il rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare, ma anche di porre in essere programmi di sorveglianza volti all’identificazione precoce del tumore, migliorando pertanto in modo significativo la prognosi dei pazienti”, sostiene Edoardo G. Giannini, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università di Genova, tra i protagonisti del Congresso FISMAD in corso a Roma dal 13 al 15 aprile.
“L’ecografia addominale da eseguire ogni sei mesi, eventualmente associata al dosaggio dell’alfa-fetoproteina, rappresenta attualmente lo strumento di sorveglianza raccomandato per i pazienti a rischio di sviluppare il carcinoma epatocellulare”, aggiunge il prof. Giannini.
Cosa fare
“Quando, nel corso di programmi di screening e sorveglianza, viene identificata una lesione epatica sospetta, si deve procedere con esami di imaging di secondo livello – tomografia computerizzata o risonanza magnetica epatica con mezzo di contrasto – in grado di fornire elementi diagnostici fondamentali per la caratterizzazione della lesione e, nei casi dubbi, alla biopsia. Negli ultimi anni, il tradizionale, rigido modello di classificazione è stato superato da un approccio più flessibile e personalizzato, sviluppato grazie ad autori italiani, che tiene conto non solo delle caratteristiche tumorali (numero, dimensioni e localizzazione delle lesioni) e della riserva funzionale epatica, ma anche delle comorbidità, dello stato generale del paziente e delle sue preferenze. In questo modo, la selezione dell’opzione più appropriata (chirurgica, locoregionale, sistemica o palliativa) avviene nell’ambito di un team multidisciplinare valutando le strategie disponibili in modo gerarchico, partendo da quelle a maggiore intento curativo per declinare progressivamente a quelle di controllo della malattia o di supporto sintomatico”.
Terapie in atto
“Per i pazienti in stadio iniziale o con malattia localizzata, sono disponibili terapie potenzialmente curative, tra cui la resezione chirurgica, il trapianto di fegato o l’ablazione percutanea mediante radiofrequenza o microonde. Nei casi di malattia più avanzata, le opzioni includono trattamenti locoregionali come la chemioembolizzazione transarteriosa, oppure terapie sistemiche, tra cui i farmaci a bersaglio molecolare (sorafenib, lenvatinib) e l’immunoterapia (atezolizumab + bevacizumab, durvalumab + tremelimumab), con un progressivo miglioramento delle prospettive di sopravvivenza anche nei pazienti non candidabili a trattamenti curativi. In tale contesto, sta acquisendo crescente rilevanza anche il concetto di terapia di conversione, ovvero l’impiego mirato di trattamenti sistemici o locoregionali con l’obiettivo di ridurre il carico tumorale e rendere potenzialmente eleggibili alla chirurgia o al trapianto pazienti inizialmente non candidabili a trattamenti curativi”, conclude il prof. Giannini.
Infine, la gestione del paziente affetto da carcinoma epatocellulare richiede una presa in carico multidisciplinare, in cui l’epatologo continua a ricoprire un ruolo chiave insostituibile, non solo nella diagnosi precoce, ma anche nella valutazione e preservazione della funzione epatica, nella scelta condivisa dei trattamenti e nella loro gestione, e nella rivalutazione iterativa dei pazienti al fine di migliorare la sopravvivenza globale.