Tumori, in Italia più di 2 anni per accedere ai nuovi farmaci. AIOM: “Garantire disponibilità immediata di terapie salvavita”

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Roma, 26 ottobre 2019 – I prontuari terapeutici regionali vanno aboliti. Oggi, nella maggior parte delle Regioni, hanno carattere vincolante e determinano gravi conseguenze a danno dei pazienti oncologici, che in qualche caso devono aspettare più di due anni per accedere ai farmaci anticancro innovativi.

Tempi di latenza che nel nostro Paese sono, in parte, superati con diverse disposizioni che regolano l’accesso e la prescrizione di farmaci già approvati dall’ente regolatorio europeo (EMA, European Medicines Agency), prima del rimborso a carico del Servizio Sanitario Nazionale: è il cosiddetto early access, cioè l’accesso anticipato alle terapie.

I percorsi principali sono l’accesso al Fondo AIFA del 5% e la legge 648/1996, che consentono la totale rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, e l’uso compassionevole/nominale, con fornitura gratuita da parte dell’azienda farmaceutica. Proprio per sensibilizzare oncologi e pazienti, AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Fondazione AIOM hanno realizzato per la prima volta due opuscoli sull’early access, che saranno distribuiti in tutte le oncologie e presso le associazioni dei pazienti.

Le pubblicazioni sono state presentate al XXI Congresso Nazionale AIOM.

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Dott.ssa Stefania Gori

“I farmaci autorizzati dall’agenzia regolatoria europea vengono commercializzati nei singoli Stati membri dopo periodi più o meno lunghi, che possono essere anche molto diversi – afferma Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar – Il tempo che trascorre fra il deposito del dossier di autorizzazione e valutazione presso l’EMA e l’effettiva disponibilità di una nuova terapia nella Regione italiana che per prima rende disponibile il farmaco si aggira intorno a 800 giorni. Questo lungo processo, che va dall’approvazione europea alla reale disponibilità del farmaco per i pazienti italiani, può penalizzare fortemente i malati, specialmente nel caso di molecole innovative. È fondamentale, quindi, garantirne una disponibilità più tempestiva. Per ridurre i tempi di latenza devono essere superati i prontuari terapeutici regionali”.

Oggi in Italia, accanto al Servizio Sanitario Nazionale, convivono 19 Regioni e 2 Province autonome, che presiedono altrettanti comitati che valutano il recepimento del farmaco nelle strutture sanitarie del loro territorio. Nella maggior parte delle Regioni italiane è presente un prontuario terapeutico (ospedaliero) regionale (PTOR) vincolante: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, P.A. Trento, P.A. Bolzano, Puglia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta. Il Molise ha adottato un PTOR non vincolante. Ulteriore variabilità viene riportata da Regioni come Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia che non hanno un PTOR ma si riferiscono a prontuari di USL/ASL e la Regione Toscana che utilizza Prontuari di Area Vasta.

“Nel 2019, in Italia, sono stimati 371mila nuovi casi di cancro – spiega Fabrizio Nicolis, presidente Fondazione AIOM – I prontuari terapeutici locali, di fatto, aggiungono uno step nell’iter, già di base lungo, di approvazione e recepimento del nuovo farmaco, prima che quest’ultimo sia realmente disponibile per il paziente. Assistiamo a situazioni in cui l’accesso a una terapia è possibile per pazienti di una Regione ma non per quelli di una Regione contigua. Realtà inaccettabili, se pensiamo soprattutto ai farmaci oncologici, per cui un accesso omogeneo sul territorio costituisce un aspetto di fondamentale importanza per l’efficacia e l’equità del trattamento. Inoltre la riduzione progressiva dei budget delle aziende ospedaliere e sanitarie può porre gli oncologi di fronte a scelte etiche fra allocazione delle risorse disponibili e scelta delle terapie”.

È parte del progetto di AIOM e Fondazione AIOM su early access anche una giornata formativa dedicata a oncologi e pazienti, che si svolgerà a novembre. Inoltre, entro la fine di quest’anno, partirà un tour in cinque Regioni, proprio per sensibilizzare clinici e cittadini.

“Vi sono diverse norme che regolano l’accesso precoce alle terapie – sottolinea Massimo Di Maio, del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino – Innanzitutto, la legge 648/1996 prevede la possibilità di erogare, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, farmaci con specifiche caratteristiche. In particolare, nei casi in cui non siano disponibili alternative terapeutiche valide: medicinali innovativi, in commercio in altri Stati, ma non in Italia; medicinali non ancora autorizzati, ma in corso di sperimentazione clinica; medicinali da impiegare per una indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata. Vi è poi il Fondo AIFA 5% per l’impiego, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, di farmaci orfani per il trattamento di malattie rare e di terapie che rappresentano una speranza di cura, in attesa della commercializzazione, per particolari e gravi patologie”.

A seguito dell’istituzione di questo fondo da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), le aziende farmaceutiche sono tenute a versare un contributo pari al 5% del proprio fatturato annuo (nel 2018 il Fondo ammontava a poco più di 18 milioni di euro). “Un’altra via è quella della legge 94/1998 (detta anche ‘Legge Di Bella’) – continua Massimo Di Maio – che consente la prescrizione da parte di un medico, sotto la sua esclusiva e diretta responsabilità, di medicinali regolarmente in commercio, per uso al di fuori delle condizioni di registrazione. È il cosiddetto impiego off label”.

“A differenza della legge 648/1996 (che prevede il rimborso del farmaco da parte del Servizio Sanitario Nazionale) e del ricorso al Fondo AIFA 5% (che implica il rimborso da parte di AIFA), nel caso della prescrizione sulla base della legge 94/1998, la terapia è a carico del paziente o dell’azienda sanitaria in caso di ricovero – spiega la Presidente Gori – Molto importante anche il Decreto Ministeriale del 7 settembre 2017, che disciplina il ricorso al cosiddetto ‘uso compassionevole’ di un farmaco sottoposto a sperimentazione clinica, al di fuori della sperimentazione stessa, in pazienti affetti da malattie gravi o rare o che si trovino in pericolo di vita, quando, a giudizio del medico, non vi siano ulteriori valide alternative terapeutiche, o nel caso in cui il paziente non possa essere incluso in uno studio o, ai fini della continuità terapeutica, per malati già trattati con beneficio clinico nell’ambito di una sperimentazione almeno di fase II conclusa. Le aziende farmaceutiche, che intendono attivare programmi di uso compassionevole, ne sostengono i costi e sono tenute a informare preventivamente AIFA sulla data della loro attivazione e chiusura”.

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