Tumori: 1,5 milioni di screening in meno nei primi cinque mesi del 2020. Intervista a Stefano Vella

Prof. Stefano Vella

Roma, 23 ottobre 2020 – Ridefinire l’assistenza oncologica al di fuori delle mura ospedaliere, utilizzando sempre di più le nuove tecnologie a disposizione, a beneficio della qualità di vita dei pazienti. Se il contesto emergenziale legato al Covid-19 ci ha insegnato qualcosa, concordano infatti gli esperti, è che il vero futuro del sistema sanitario sono le cure territoriali.

È questo, in estrema sintesi, quanto emerso nel corso di un convegno online dal titolo “Oncologia del territorio” promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute, in collaborazione con Cittadinanzattiva, e con il patrocinio di AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Responsabile scientifico del convegno, che si è svolto in diretta streaming sulla pagina Facebook dell’Osservatorio, il prof. Stefano Vella, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, e rappresentante italiano del Programma quadro europeo per la ricerca 2021-2027. Per saperne di più sul tema, l’agenzia Dire lo ha intervistato.

“L’epidemia da Covid-19 ha messo in evidenza alcune mancanze della nostra organizzazione sanitaria, prima di tutto il fatto che la medicina del territorio era stata abbandonata per molto tempo – ha detto Vella – Voglio ricordare che nei primi cinque mesi del 2020 in Italia sono stati eseguiti un milione e mezzo di esami di screening per i tumori in meno e che durante il lockdown, secondo alcune stime, sono stati rimandati circa 410mila interventi chirurgici per il ‘dirottamento’ di anestesisti verso i reparti Covid. È arrivato allora il momento di ripensare alle modalità con cui gestire alcune malattie, in questo caso parliamo di cancro, ma il discorso vale per tutte le patologie croniche”.

“Servono più cure sul territorio e meno in ospedale – ha sottolineato – che dovrebbe essere invece la località delle cure intensive, mentre per troppo tempo ha gestito anche le cronicità. È chiaro che non tutte le terapie oncologiche possono essere trasferite sul territorio, ma ora è necessario capire quali e in che modo”.

Vella non ha dubbi sul fatto che le cure territoriali sono “il futuro del sistema sanitario. E lo abbiamo visto anche con il Covid – ha spiegato alla Dire l’ex presidente di AIFA – oggi abbiamo capito che il virus va affrontato sul territorio e non in ospedale. Nei mesi scorsi l’inevitabile catastrofe a cui siamo andati incontro è stata dovuta al fatto che tutti i pazienti Covid (e non solo quelli con i sintomi) si sono riversati negli ospedali, quando molti potevano essere gestiti dal territorio”.

La proposta di soluzione dell’esperto, insomma, è trasferire sempre di più le cure oncologiche sul territorio. “Molte Regioni, tra cui il Piemonte, già lo hanno fatto – ha fatto sapere Vella – e ci sono tanti esempi positivi in questo senso. Il territorio è senz’altro il futuro per decongestionare gli ospedali e sgrossare il loro lavoro, rendendo allo stesso tempo più semplice la vita dei pazienti”.

Per riorganizzare questa nuova sanità “ci vorrà del tempo”, ma bisogna considerare che “abbiamo già a disposizione i medici di famiglia, i distretti e le nuove tecnologie”, ha aggiunto l’esperto.

Ma in che modo i pazienti oncologici sarebbero facilitati?
“Oggi a questi pazienti capita di aspettare anche due mesi per andare ad un controllo di routine in ospedale, mentre molte volte neppure ne avrebbero bisogno – ha risposto Vella – Oggi gli oncologi, con i nuovi mezzi che abbiamo disponibili e che dobbiamo utilizzare, penso alla telemedicina o al telemonitoraggio, possono monitorare il paziente anche da lontano. Ma non solo: alcune terapie, ovviamente non tutte, possono essere fatte tranquillamente sotto la guida dei centri oncologici sul territorio. In questo modo si risparmia tempo prezioso per il paziente, non più costretto a cercare il proprio oncologo”.

Non c’è il rischio che il paziente si senta abbandonato?
“Tutt’altro – ha risposto ancora il professore della Cattolica – Non bisogna leggere questa nuova organizzazione sanitaria come un ‘abbandono’ del paziente, questo è un messaggio molto importante da dare, ma come una facilitazione della sua vita quotidiana. Il paziente, con le nuove tecnologie, vedrà al contrario aumentare il contatto con il suo centro di riferimento, sempre sotto l’esperta guida, fondamentale, del suo oncologo”.

Secondo Vella, inoltre, è necessario che l’autorità regolatoria riveda le modalità di somministrazione dei farmaci. “A prescrivere il farmaco sarà sempre l’oncologo e se un farmaco va preso in ospedale è lì che deve essere preso – ha precisato l’esperto – così come alcune terapie, penso alla Car-T, non si possono fare sul territorio. Però altre strade sono percorribili: invece di andare sempre in ospedale, i pazienti potrebbero per esempio rivolgersi alle farmacie del territorio, oppure le stesse potrebbero inviare i farmaci al distretto”.

Una cosa è certa: il Covid-19 ha dato una spinta per cambiare la nostra sanità. Ma quanto tempo ci vuole per organizzarla?
“Diciamo che questi sono i primi passi di una nuova sanità – ha risposto infine Vella – ora bisogna capire velocemente come realizzarla. Intanto, dobbiamo metterci tutti quanti d’accordo sulla necessità di realizzarla ed è importante che ci sia una convergenza di visione”.

(fonte: Agenzia Dire)

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