Tumore del fegato, nuove armi per la fase avanzata

La lotta alla malattia parte da Bologna: +17% di casi fra le donne del Sud. La neoplasia colpisce meno nel Nord Italia. Il prof. Luigi Bolondi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Interna dell’Università del capoluogo: “I virus dell’epatite B e C sono ancora oggi i principali fattori di rischio. Le novità nella terapia sistemica possono migliorare la sopravvivenza”. La città emiliana riunisce i più importanti esperti internazionali nella III edizione della School of Liver Cancer

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Bologna, 18 maggio 2018 – La lotta contro il tumore del fegato passa da Bologna. Il capoluogo emiliano ospita per due giorni (18-19 maggio) la terza edizione della School of Liver Cancer della prestigiosa società scientifica International Liver Cancer Association (ILCA), importante congresso internazionale con esperti da tutto il mondo per fare il punto sulle terapie più avanzate contro il tumore del fegato.

Questo evento si svolge esclusivamente in centri di eccellenza e l’edizione 2018 è stata conferita all’Ospedale Universitario S. Orsola-Malpighi di Bologna. In Italia nel 2017 sono stati diagnosticati 12.900 nuovi casi di cancro del fegato (8.900 uomini e 4.000 donne). In controtendenza rispetto alle altre neoplasie, questo tumore fa registrare un maggior numero di diagnosi nel Sud Italia rispetto al Settentrione, in particolare fra le donne (+17%). Il dato si spiega con la prevalenza in queste aree delle infezioni causate dai virus dell’epatite B (HBV) e C (HCV).

“Questi virus sono le principali cause della neoplasia a livello globale – spiega il prof. Luigi Bolondi, Ordinario di Medicina Interna del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche e Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Interna dell’Università di Bologna – In Italia oltre il 70% dei casi di tumori primitivi del fegato è riconducibile a fattori di rischio noti, collegati soprattutto all’infezione da virus dell’epatite C. Un’elevata percentuale di persone che contraggono questa infezione, stimata fino all’85%, va infatti incontro a cronicizzazione. E il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa, nell’arco di 10-20 anni, cirrosi e, in circa l’1-4%, successivo epatocarcinoma”.

“È un momento storico per il paziente affetto da questo tipo di tumore perché lo scenario si sta evolvendo rapidamente – continua il prof. Bolondi – Dopo 10 anni di insuccessi in questo campo, oggi sono disponibili dati clinici in grado di dimostrare che un approccio sequenziale di terapie sistemiche può incrementare la sopravvivenza del paziente con epatocarcinoma ”.

In futuro il panorama dei principali fattori di rischio è destinato a cambiare: la steatoepatite, caratterizzata dall’accumulo di grasso nel fegato, e le malattie incluse nella cosiddetta sindrome metabolica, in particolare diabete e obesità, che stanno assumendo un’importanza crescente, costituiranno le cause più importanti del tumore del fegato.

“La vaccinazione contro l’HBV, iniziata in Italia nel 1991 nei neonati e dodicenni e limitata ai soli neonati a partire dal 2003, ha profondamente ridotto l’impatto di questo virus in Italia. Per quanto riguarda l’HCV, manca ancora il vaccino, ma le terapie oggi disponibili permettono di eliminare questo virus, per cui il rischio di tumore del fegato riguarderà soprattutto i pazienti che hanno già sviluppato cirrosi”.

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