Strage migranti. Diritto di navigazione e dovere di soccorso

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La nuova, devastante catastrofe umanitaria, è anche conseguenza della normativa per cui gli Stati possono intervenire in alto mare su navi battenti bandiera straniera solo quando giunge una richiesta di soccorso. Il mare Mediterraneo è suddiviso in aree di controllo (cd zone Search and Rescue SAR) ma alcuni Stati della riva sud non eseguono tale attività: si auspica quindi un accordo internazionale per la creazione di una SAR pan-mediterranea. Va sottolineato che esistono tutte le tecnologie per effettuare il controllo preventivo dell’intero Mediterraneo attraverso i sistemi satellitari

a cura della dott.ssa Gemma Andreone, Istituto studi giuridici internazionali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Isgi-CNR) e presidente Marsafanet

21 aprile 2015 – La nuova, devastante catastrofe umanitaria, avvenuta secondo alcune fonti di stampa a circa 50 miglia nautiche dalle coste libiche, e quindi in una zona di alto mare non sottoposta al controllo di nessuno Stato, è certamente anche conseguenza della complessa condizione politica e giuridica del Mediterraneo, oltre che della mancanza di una politica per contenere e gestire il fenomeno delle migrazioni via mare adeguata e coerente allo standard di tutela dei diritti umani che gli Stati europei e l’Unione si sono impegnati ad assicurare dentro e fuori i propri territori.

I molti problemi giuridici relativi a eventi drammatici come questo possono essere ricondotti a due doveri degli Stati: prevenire il verificarsi di situazioni come l’uso di imbarcazioni inadeguate per il trasporto di carichi umani eccessivi e condotti in modo disumano e degradante; reprimere con maggiore intensità e rigore i responsabili di queste pericolosissime migrazioni.

Considerando che l’intercettazione dei migranti spesso avviene troppo tardi, solo quando giunge una richiesta di soccorso, occorre ricordare che i poteri degli Stati di fermare la navigazione in alto mare di navi battenti bandiera straniera sono limitati. Nel diritto internazionale, infatti, manca una norma che permetta di intervenire in assenza del consenso dello Stato della bandiera, anche se si tratta di navi stracariche di persone evidentemente sottoposte a trattamenti disumani. La libertà di navigazione, sancita da un principio consuetudinario e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, è garantita a tutte le imbarcazioni che espongano una bandiera.

L’art.110 prevede la deroga a questo principio, consentendo di intervenire su una nave sospetta anche senza il consenso dello Stato di appartenenza della nave, solo nei casi di pirateria, tratta di schiavi, trasmissioni abusive. Ciò significa che il controllo in alto mare di imbarcazioni che trasportano migranti, sia pure in evidente stato di pericolo o di sofferenza, può essere effettuato anche prima di aver ricevuto una richiesta di aiuto solo su imbarcazioni che non hanno nessuna bandiera.

Il trasporto illecito di migranti (cd smuggling) è stato oggetto di regolamentazione da parte del Protocollo delle Nazioni Unite sul Traffico di Migranti (Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime), entrato in vigore nel 2004 in 121 Stati tra cui Libia, Italia e UE. Sicuramente questo Protocollo dovrebbe essere maggiormente valorizzato, soprattutto nell’intento di prevenire disastri umanitari come questo, tuttavia, in termini concreti, rimane l’obbligo di contattare lo stato della bandiera prima di intervenire.

Quando invece arriva una richiesta – spesso troppo tardi per poter garantire un intervento tempestivo delle autorità che abbiano la professionalità per gestire al meglio la situazione – il soccorso (art. 98 della Convenzione) diviene un atto dovuto in qualunque zona, quindi anche in alto mare, e da parte di tutti, anche dei privati. Molti soccorsi, non a caso, avvengono grazie all’intervento di piccole imbarcazioni o di mercantili privati, come è accaduto in quest’ultimo caso. Esistono peraltro anche altre convenzioni internazionali che prevedono il dovere di prestare assistenza alle persone in difficoltà in mare e di portarle in un “luogo sicuro”, cioè la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS – Safety of Life at Sea), firmata a Londa nel 1974 e ratificata dall’Italia nel 1988, e la Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio in mare (SAR), del 1979 e ratificata dall’Italia nel 1989.

Il mare Mediterraneo è suddiviso in zone di Search and Rescue (cd zone SAR) che sono rivendicate dagli Stati come aree di controllo per il soccorso e per garantire la sicurezza della navigazione sia marittima che aerea. Alcuni Stati della riva sud del Mediterraneo di particolare debolezza politica e istituzionale come la Libia, tuttavia, non rivendicano zone SAR e comunque non eseguono attività di controllo. La questione presenta anche altri elementi problematici, come la mancata attività di controllo da parte di Malta, che è nell’impossibilità di gestire la propria ampissima SAR.

In questo contesto, da più parti si auspica la conclusione di un accordo internazionale per la creazione di una SAR pan-mediterranea nella quale le competenze e le responsabilità del soccorso in mare siano condivise tra tutti gli Stati rivieraschi. Questa ipotesi sarebbe in linea con quanto previsto dall’art. 98 della Convenzione del 1982, cioè l’obbligo dello stato costiero di promuovere un servizio di adeguato soccorso e ricerca in mare collaborando tramite accordi regionali.
In tal senso va sottolineato che allo stato attuale esistono tutte le tecnologie e le competenze per effettuare il controllo preventivo dell’intero Mediterraneo attraverso i sistemi satellitari.

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Un barcone di migranti in partenza dalla Libia (foto ANSA/Giuseppe Lami)

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