Sindrome di Rett, uno studio apre la strada a nuove prospettive terapeutiche

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Anche se nel nostro genoma i geni normalmente si presentano a coppie (uno su ciascun cromosoma omologo), talvolta uno dei due manca, quello ‘superstite’ non basta a fare tutto il lavoro (si dice che è ‘aploinsufficiente’) e tale situazione può causare malattie anche molto gravi. Che fare per combattere tali malattie, fra cui tante neurologiche? Una delle vie possibili è quella percorsa con successo, per ora in vitro e nei primi stadi in vivo, da un team della SISSA: stimolare con tecniche d’avanguardia il gene superstite a lavorare anche per quello assente. La tecnica è stata applicata per ora solo ad un particolare gene, la cui aploinsufficienza porta alla sindrome di Rett, una malattia rara. Tuttavia essa rappresenta anche un modello generale applicabile potenzialmente a tutte le aploinsufficienze, che nel loro complesso colpiscono un numero cospicuo di individui in tutto il mondo, ma per le quali oggi non esistono trattamenti validi. La nuova ricerca è pubblicata su Scientific Reports

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Area del cervello di ratto stimolate nello studio

Trieste, 20 dicembre 2016 – Immaginate che un vostro collega d’ufficio si sia ammalato e che per questo mancherà per un po’. Che fate? Continuate a svolgere il vostro lavoro agli stessi ritmi, rischiando però un accumulo mostruoso di arretrati, che andrà a incidere sulla prestazione complessiva dell’ufficio, o vi rimboccate le maniche (magari anche grazie allo stimolo del vostro capo che vi promette qualche benefit) e moltiplicate gli sforzi cercando di fare il vostro lavoro e quello che normalmente spetta all’impiegato assente?

Una situazione simile la sperimenta un gene quando il suo omologo manca, una condizione definita dai medici con il nome di aploinsufficienza. Quando quest’anomalia si manifesta, specie quando riguarda geni la cui funzione è importante nel sistema nervoso centrale, essa può portare a patologie molto gravi, come la sindrome di Rett che provoca ritardo mentale grave progressivo, legata al gene FOXG1. Un gruppo di ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste coordinata da Antonello Mallamaci, ha scelto di adottare la strategia del capoufficio ‘motivazionale’, stimolando il gene FOXG1 superstite a lavorare di più per compensare l’assenza del gene mancante.

“Utilizzando dei frammenti di RNA diretti alle sequenze regolative del gene, inseriti all’interno dei neuroni attraverso dei vettori virali, lo abbiamo stimolato ‘gentilmente’ a lavorare di più, quasi esattamente il doppio – spiega Mallamaci – Da notare che non vogliamo assolutamente che il gene faccia più di questo. Se infatti lavorasse il triplo per esempio, si potrebbero causare danni ancor più gravi”.

Si sa infatti che, quando sono presenti tre copie del gene FOXG1 (una in più del normale), si manifesta la sindrome di West, forse ancor peggiore perché provoca una grave forma di epilessia. “È dunque fondamentale che il gene che stimoliamo si limiti a lavorare circa il doppio, ma neanche un briciolo in più”.

La metodologia adottata dal gruppo triestino è una soluzione ‘furba’ ai problemi che le terapie contro queste malattie pongono. “Stimolare il gene normale ci premette per esempio di mantenere intatta la sua regolazione naturale endogena – spiega Mallamaci – I geni infatti non si esprimono ovunque e sempre a pieno regime, anzi: in molti tessuti del corpo sono silenziati, in altri la loro attività è modulata con grande precisione temporale. Se la regolazione saltasse è facile intuire il caos che si può generare. Riprendendo la metafora dell’impiegato, è come mettere uno stagista inesperto a sostituire l’ammalato: al meglio non farà nulla, al peggio combinerà parecchi guai. Chiedere invece maggior impegno all’impiegato esperto, quello che conosce i processi e i ritmi dell’ufficio, dà maggiori garanzie”.

Il team ha eseguito diversi test. In primo luogo, in vitro, gli scienziati hanno controllato se la stimolazione attraverso l’RNA promotore andasse ad amplificare l’attività del gene solo dove serviva.

“FOXG1 è attivo solo nel cervello anteriore e non vogliamo assolutamente che agisca in altre parti del sistema nervoso e dell’organismo”, spiega Mallamaci. I test hanno dato risultato positivo: dopo la stimolazione, il gene continuava ad esprimersi solo nelle cellule dove era precedentemente già attivo, e restava silente nei tessuti in cui normalmente non funziona. Importantissimo, anche, l’aumento dell’attività osservato si è attestato intorno a un fattore non lontano da 2, quel ‘doppio’ di espressione che si andava cercando.

Il secondo test, sempre in vitro, ha dimostrato che i meccanismi endogeni di regolazione del gene legati all’attività elettrica dei neuroni che lo esprimono non vengono alterati dalla stimolazione con l’RNA: “abbiamo visto che l’attività del gene saliva, ma la forma della curva di attività nel tempo era più o meno invariata, questo è un indizio chiaro che la regolazione rimane simile”, spiega Cristina Fimiani, dottoranda in Genomica Funzionale e Strutturale presso la SISSA e co-prima autrice dello studio.

Il terzo step è stato vedere se la stimolazione funzionava anche in vivo. “La prova è stata fatta su topi sani e abbiamo visto che anche in questa condizione ottenevamo un’efficacia anche più evidente che in vitro,” conclude Mallamaci.

“Siamo ancora all’inizio del lungo iter clinico che un giorno potrebbe portare alla terapia – aggiunge lo scienziato – Sono però risultati molto netti che ci spingono decisamente a continuare la ricerca. I prossimi passi saranno i test in vivo su modelli animali con la malattia”.

Cosa rende questo tipo di terapie così interessanti per il futuro? “La malattia di Rett è rara e interessa solo pochi pazienti, per questo attira poco le attenzioni e gli investimenti delle grandi case farmaceutiche – conclude lo scienziato – Le aploinsufficienze, però, prese nel loro insieme, interessano un sacco di persone. La metodologia che presentiamo in questo studio è dunque principalmente un test per un metodo generale, adatto a contrastare il gran numero di aploisufficenze che colpiscono il sistema nervoso, e una volta messa a punto, potrebbe essere facilmente declinata per geni diversi”.

fonte: ufficio stampa (foto: SISSA)

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