Sepsi, un “gigante” ancora troppo nascosto

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Alla Sepsi si sopravvive di più ma ancora troppo poco. La mortalità di un paziente con shock settico è ancora intorno al 40%, percentuale tra le più elevate tra le malattie acute. Una tempestiva diagnosi rimane la chiave per il successo. È quanto emerge dall’intervista rilasciata da Massimo Girardis, docente presso l’Università di Modena e coordinatore del gruppo di studio infezioni e sepsi della SIAARTI

ospedale-medici-corsiaBologna, 16 ottobre 2015

Professore quanto è importante la diagnosi precoce e il buon uso degli antibiotici?
“La diagnosi precoce nel caso d’infezioni gravi è la chiave per il successo nella gestione del paziente con sepsi grave. I principali sforzi compiuti in questi dieci anni dalla comunità scientifica sono stati proprio rivolti all’identificazione precoce del paziente con sepsi sia attraverso valutazione clinica che bio-umorale. Questi sforzi hanno portato in molte categorie di pazienti (per esempio i pazienti con infezioni comunitarie) auna sensibile riduzione della mortalità. Analogamente, una precoce terapia antibiotica, appropriata per tipo e dose, è il trattamento con maggiore impatto nella gestione dei pazienti con infezioni gravi. Diversi studi recenti hanno inoltre dimostrato che una terapia antibiotica inappropriata o non tempestiva aumenta il rischio di morte”.

Quali nuove prospettive nella gestione delle infezioni da batteri multiresistenti?
“La migliore terapia per la gestione delle infezioni da batteri multiresistenti (MDR) è la prevenzione che si attua attraverso programmi di infection control e di antimicrobial stweardship che dovrebbero essere attivati in tutti gli ospedali. Le nuove prospettive riguardano la migliore comprensione dei fattori di rischio, della gestione antibiotica attraverso terapie di combinazione e lo sviluppo di alcune aziende farmaceutiche di antibiotici specifici”.

Cosa c’è di nuovo nella ricerca per combattere la Sepsi?
“La ricerca nel campo della sepsi è progredita in tutti gli ambiti: dal miglioramento delle conoscenze fisiopatologiche all’identificazione precoce del paziente, dalla terapia antibiotica alle terapie di supporto. In particolar modo, nell’ultimo periodo grande attenzione è stata rivolta alla disfunzione della risposta immunitaria a un’infezione che sembra essere una delle cause principali di morte. Per questa ragione, il monitoraggio e l’eventuale gestione di quella che si chiama immunoparalisi determinata dall’infezione sembrano essere elementi fondamentali nella cura di alcune categorie di pazienti con sepsi grave. Inoltre, la personalizzazione delle terapie di supporto in funzione delle condizioni cliniche (pre-esistenti ed in essere) è sicuramente uno dei campi di maggior ricerca clinica nel panorama della sepsi”.

Quanto è possibile sopravvivere oggi alla Sepsi?
“Più di ieri, ma non ancora quanto vorremmo. Diverse esperienze riportano miglioramenti significativi della prognosi dei pazienti che presentano sepsi grave o shock settico negli ultimi anni. Tuttavia, a causa dell’aumento dell’età della popolazione e di pazienti con numerose comorbiidità, nei paesi occidentali la mortalità di un paziente con shock settico è ancora intorno al 40%, che rimane ancora tasso più elevato tra le malattie acute, quali infarto del miocardio e stroke cerebrali”.

Quali sono stati i risultati più importanti raggiunti negli ultimi 10 anni?
“I passi importanti sono molti. Tra questi direi l’aumento della conoscenza della malattia sia in termini medici che di attenzione pubblica; lo sviluppo di strumenti clinici e biochimici per l’identificazione precoce del paziente; la formazione sull’ importanza e l’uso appropriato della terapia antibiotica; la multidisciplinarietà dell’approccio al paziente con sepsi grave”.

Perché ancora oggi la Sepsi non è molto conosciuta?
“Direi che su questo diversi passi avanti sono stati fatti. La sepsi, come già detto, è un gigante nascosto perché è spesso la complicanza fatale di molte malattie, anche molte più conosciute come per esempio il cancro. La caratteristica, però, è quella di essere una malattia acuta e non cronica, con alto tasso di mortalità ma che spesso, ove avviene la guarigione, non lascia reliquati significativi con cui convivere, o terapie specifiche da assumere cronicamente (come ad esempio il diabete o l’ipertensione). Insomma, la sepsi non è una compagna di viaggio con cui convivere a lungo. È piuttosto come una burrasca: dura poco, fa molti danni (fino alla morte), ma poi va via. Per questo, forse, la sepsi non è così conosciuta”.

Quanto può aiutare il trattamento extra-corporeo della sepsi?
“L’evoluzione della ricerca e dell’applicazione clinica delle conoscenze a portato ad un significativo miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con sepsi. Tuttavia, la mortalità di alcune categorie di pazienti con shock settico resta ancora molto elevata, nonostante trattamenti tempestivi ed adeguati. In queste categorie di pazienti i trattamenti extracorporei potrebbero trovare spazio e adeguate ricerche sono in essere per capire la loro efficacia e il loro campo d’azione. Per semplificare e per analogia con altri sistemi, le tecniche extracorporee nella sepsi possono essere viste come un organo artificiale che supporti temporaneamente (un ponte) i nostri sistemi di difesa contro le infezioni gravi”.

fonte: ufficio stampa

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