Salute mentale, frequenti le violazioni dei diritti umani. Potenziare l’assistenza sociosanitaria nelle comunità

Prof. Benedetto Saraceno, psichiatra e professore ordinario di Global Health all’Università di Lisbona: “Malgrado l’esistenza di numerosi strumenti legali e internazionali, come la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, le persone con disturbi mentali o con disabilità intellettuali continuano ad essere fra le più vulnerabili, stigmatizzate, discriminate, escluse, abbandonate, rinchiuse e abusate”

Roma, 6 ottobre 2020 – “Le risorse destinate alla Salute mentale rimangono modestissime, tanto che solo l’1% dell’assistenza globale allo sviluppo è destinata alla salute mentale. Le violazioni dei diritti umani nei setting psichiatrici costituiscono, inoltre, una regola e un’emergenza planetaria, perché sono frequenti e ubiquitarie”.

Parole dure quelle espresse da Benedetto Saraceno, psichiatra e professore ordinario di Global Health all’Università di Lisbona, nel corso del convegno “Per una salute mentale di comunità: servizi di prossimità e budget di salute”, promosso da Sandra Zampa all’Auditorium “Cosimo Piccinno” per celebrare la Giornata mondiale della Salute mentale.

“Non manchiamo di documenti visionari, piani di azione o linee guida, anzi ne abbiamo fin troppi. Manchiamo dell’azione conseguente – continua lo psichiatra – perché non siamo in grado di fare la differenza. A livello globale esistono modestissime evidenze che mostrano una riduzione nel gap dei trattamenti. Studi in India e Cina dimostrano, ad esempio, che più dell’80% degli individui con qualunque tipo di disturbo mentale non accede ad alcun tipo di trattamento. Se invece è accessibile, la sua qualità resta povera. Tra gli individui con un disturbo depressivo maggiore solo il 22%, l’11% e il 3% rispettivamente nei paesi ad alto, medio e basso reddito riceve un trattamento adeguato”.

Prof. Benedetto Saraceno

L’Italia, come sovente rilevato dall’OMS, ha un sistema di salute mentale “eccezionalmente avanzato – conferma Saraceno – tuttavia alcune barriere allo sviluppo dei sistemi di Salute mentale umani e costo-effettivi sono osservabili anche qui”.

Il professore, nel dettaglio, individua sei barriere nel nostro paese:

Prima barriera nei determinanti sociali – “La prima barriera è dei determinanti sociali: sono potenti driver e fattori di Salute mentale carenti. Fra di essi le disuguaglianze sociali, la povertà assoluta e relativa, i bassi livelli educativi, le migrazioni, l’urbanizazione rapida e incontrollata”.

Seconda barriera nella volontà politica e in finanziamenti limitati – “La mobilitazione in difesa della Salute mentale è frammentata tra famiglie, utenti e operatori – conferma Saraceno – e spesso è contraddittoria nelle richieste. Gli utenti della psichiatria non sono organizzati in gruppi di pressione efficaci e potenti. I politici, gli amministratori e i donatori continuano a ritenere che gli interventi per la Salute mentale poi siano costi-ineffettivi. Ecco la barriera della volontà politica”.

Terza barriera nel divario delle risorse – “L’impatto delle patologie psichiatriche è aumentato del 50% negli ultimi 25 anni – denuncia lo studioso – la frazione del budget usato per la Salute mentale decresce proporzionalmente con il decrescere del reddito pro-capite dei paesi e delle regioni all’interno degli stessi paesi. È ovvio che anche il budget totale per la Salute generale decresce e ne consegue che la frazione dedicata alla Salute mentale diventi progressivamente più piccola: più si è poveri e meno si investe in salute mentale”.

Eppure la Lancet commission sulla Salute mentale globale “raccomanda che l’incremento del finanziamento per la Salute mentale sia superiore al 5% del budget totale di Salute nei paesi a basso e medio reddito, e superiore al 10% nei paesi ad alto reddito”.

Non solo le risorse sono scarse, ma sono utilizzate in maniera inefficiente: “Quelle destinate alla Salute mentale sono ancora concentrate in grandi città e grandi istituzioni. Permane quindi una forte resistenza dei professionali della salute mentale i cui interessi sono meglio serviti dalle istituzioni ospedaliere. Questi interessi- rimarca Saraceno- non sono necessariamente gli interessi della popolazione. Continuano le difficoltà di inserire in comunità gli utenti con una storie di lunga cronicità”.

Quarta barriera nell’indifferenza verso la questione morale – “Malgrado l’esistenza di numerosi strumenti legali e internazionali, come la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità – prosegue il professore universitario dell’Università di Lisbona – le persone con disturbi mentali o con disabilità intellettuali continuano ad essere fra le più vulnerabili, stigmatizzate, discriminate, escluse, abbandonate, rinchiuse e abusate”.

Quinta barriera nella problematica ma necessaria integrazione della salute mentale nella medicina di base – “Gli operatori della medicina di base sono spesso sovraccarichi di lavoro e a loro non viene offerta alcuna supervisione o supporto da parte della psichiatria”, fa sapere Saraceno.

Sesta barriera nell’investimento quantitativo e qualitativo nei centri di salute mentale di comunità – “Resta insufficiente e ancora prevale la logica dei letti ospedalieri e, nel nostro paese, quella di un abuso della residenzialità: varie tipologie in alcune regioni sono inflazionate di letti, di residenze più o meno protette e spesso molto istituzionalizzanti. Questo è un indicatore di insufficienza o di inefficienza della Psichiatria territoriale”.

Le direzioni da intraprendere nel futuro? “Stop all’egemonia del modello biomedico in favore di un modello di ‘social suffering’, che implichi risposte sociali più complesse e complessive”.

La ripartenza, secondo Saraceno, deve quindi necessariamente passare per “l’abbandonare l’approccio bianario categoriale del tipo ‘patologie presenti – patologie assenti’, per andare verso un approccio dimensionale. La Salute mentale si caratterizza, infatti, come un continuum che va dal pieno benessere alla grave disabilità attraverso condizioni intermedie, ma sempre reversibili”.

In realtà le risorse sono “esclusivamente concentrate sul segmento malattia acuta e ben poco rimane per investire in riabilitazione psicosociale o in prevenzione del suicidio, dell’abuso di alcol o dei problemi di sviluppo del bambino e dell’adolescente. Si tratta ora di promuovere politiche di Salute mentale basate su strategie generate non solo dall’alto verso il basso. Le politiche – rimarca il professore – necessitano di leadership locali e queste ultime hanno bisogno di politiche. Rompiamo la separazione tra operatori della pratica e strateghi delle politiche, altrimenti avremo norme senza pratica e pratiche senza norme”.

L’obiettivo è agire sui determinanti sociali: “Alleviare la povertà, promuovere l’educazione e l’inclusione. Le determinanti sociali non solo sono componenti del modello eziologico dei disturbi mentali, ma parte integrante delle strategie di intervento a livello individuale”.

In sintesi lo psichiatra consiglia di “promuovere attivamente il coinvolgimento decisionale degli utenti e in questo lavoro sarà fondamentale utilizzare le risorse provenienti dal Recovery Fund e dal Meccanismo europeo di stabilità. Invece di redistribuire però le risorse a pioggia, bisognerà finalizzarle in progetti con obiettivi chiari e verificabili- conclude- potenziando in modo deciso l’assistenza sociosanitaria nelle comunità”.

(fonte: Agenzia Dire)

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