Nuovi dati sull’evoluzione del sistema magmatico dei Campi Flegrei. Studio INGV

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La Caldera dei Campi Flegrei vista dal bordo orientale, collina di Posillipo; in primo piano: il complesso siderurgico di Bagnoli ormai dismesso e, a sinistra, l’isolotto di Nisida. Sullo sfondo Capo Miseno e Ischia

Roma, 15 novembre 2018 – Ipotizzare l’evoluzione magmatica dei Campi Flegrei attraverso un nuovo modello sul lunghissimo termine – ovvero su decine di migliaia di anni – è il risultato di Long-term magmatic evolution reveals the beginning of a new caldera cycle at Campi Flegrei, il lavoro a firma dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), La Sapienza Università di Roma, Politecnico federale di Zurigo (ETH) e Università di Cardiff e pubblicato su Science Advance.

“Lo studio – spiega Gianfilippo De Astis, ricercatore INGV e autore della ricerca – è basato su un nuovo dataset di analisi geochimiche e tessiturali di rocce eruttate negli ultimi 60.000 anni ai Campi Flegrei. Questi nuovi dati si sommano e vengono confrontati con la grande mole di dati vulcanologici, petrologici, geochimici e geocronologici pubblicati negli ultimi 30 anni su quest’area. Scopo del lavoro era studiare l’evoluzione magmatica dei Campi Flegrei sul lungo termine, ovvero su decine di migliaia di anni, dal momento che la maggior parte degli studi precedenti ha affrontato eruzioni singole o brevi periodi di attività”.

Nel periodo considerato (60.000 anni) l’area dei Campi Flegrei è stata interessata da due enormi eruzioni che hanno causato altrettanti collassi calderici. Le grandi quantità di magma emesso nel corso di quegli eventi hanno prodotto estesi depositi vulcanici noti come Ignimbrite Campana e Tufo Giallo Napoletano, con età rispettivamente di  circa 39.000 e 15.000 anni.

È ben noto e documentato, inoltre, che prima e dopo questi due eventi colossali si sono verificate decine e decine di altre eruzioni, fra cui una settantina negli ultimi 15.000 anni.

Lo studio mette insieme i dati (petrologici) di ben 23 eventi eruttivi, distribuiti nei 60.000 anni di attività in modo da comprendere sia le due grandi eruzioni che hanno prodotto i collassi calderici sia alcune eruzioni avvenute prima e dopo di essi, compresa l’ultima eruzione flegrea del Monte Nuovo (1538).

“Utilizzando una tecnica che consente di ricostruire la temperatura del magma e il suo contenuto in acqua – prosegue il ricercatore – lo studio ha stimato l’andamento di questi due parametri nel corso della storia eruttiva dei Campi Flegrei. Sulla base di questi dati è stato proposto un modello termomeccanico relativo all’evoluzione del serbatoio magmatico negli ultimi 15.000 anni. Il modello assume che il sistema magmatico flegreo attraversi una serie di processi: arrivo di nuovo magma; cristallizzazione del magma nel serbatoio ed essoluzione di gas; raffreddamento del magma; lento assestamento viscoso e infine eruzione. Questo approccio può consentire di studiare anche altri sistemi calderici”.

Secondo i ricercatori, il susseguirsi di questi processi consente il passaggio del sistema magmatico da una condizione in cui genera numerose eruzioni di taglia medio-piccola a una condizione in cui le eruzioni diminuiscono notevolmente ed è favorito il progressivo accumulo di magmi silicei in una camera magmatica localizzata nella crosta superiore che può gradualmente ingrandirsi.

Lo stadio successivo è quello in cui si potrebbe generare un evento eruttivo molto più grande, in grado di formare una caldera.

“L’analisi – continua l’esperto INGV – è concentrata dunque sull’ultima parte di storia del vulcanismo flegreo e consente di avanzare un’interpretazione secondo cui dalle epoche con alta frequenza eruttiva si sta lentamente passando a quelle con più lungo stazionamento e accumulo dei magmi nella crosta superiore che in passato hanno preceduto la formazione di una camera magmatica persistente. In questo quadro, i magmi che hanno alimentato l’ultima eruzione dei Campi Flegrei avvenuta nel 1538, risultano composizionalmente e reologicamente simili a quel tipo di magma che in passato ha alimentato le fasi iniziali delle grandi eruzioni calderiche. Un’eruzione di questo tipo è comunque oggi molto improbabile poiché non ci sono evidenze sperimentali che sia in corso la formazione di una tale camera. In un futuro remoto che oggi non sappiamo quantificare, il continuo evolversi di questo processo potrebbe quindi rendere possibile una nuova eruzione calderica”, conclude il ricercatore.

È necessario ricordare che altri recenti studi, realizzati da altri ricercatori dell’Istituto, propongono diversi modelli e interpretazioni dell’evoluzione del sistema magmatico dei Campi Flegrei.

In particolare, allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile ottenere una interpretazione certa e univoca dei processi attualmente in atto nel sottosuolo dei Campi Flegrei.

L’INGV è, tuttavia, quotidianamente impegnato nel raggiungere questo fondamentale obiettivo scientifico e sociale.

La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile. Si ricorda che dal dicembre 2012 il Dipartimento della Protezione Civile ha elevato da verde a giallo (“Attenzione”) il livello di allerta dei Campi Flegrei.

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