Novità nella Malattia di Alzheimer. Fondamentali prevenzione e diagnosi precoce

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A cura del prof. Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano – Università di Milano-Bicocca, Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza

anziani-coppia-medicoLa Malattia di Alzheimer rappresenta la più comune forma di demenza che nel mondo colpisce circa 25 milioni di persone e solo in Italia registra più di 600.000 casi. Dato l’allungamento delle aspettative di vita e l’invecchiamento progressivo della popolazione, le previsioni sono che 2050 vi saranno più di 100 milioni di persone affette, con crescenti costi sanitari ed un enorme impatto economico e sociale.

Il recente 46° Congresso della Società Italiana di Neurologia ha dedicato ampio spazio alle problematiche di questa patologia, sia per quanto riguarda la gestione dei pazienti, sia per le novità in campo diagnostico, che aprono la strada a nuove prospettive terapeutiche.

La malattia di Alzheimer si manifesta clinicamente con iniziali disturbi di memoria, cui si associano nel corso del tempo disturbi del linguaggio, dell’orientamento, delle capacità di ragionamento, critica e giudizio, con perdita progressiva dell’autonomia funzionale. Con il termine demenza si intende proprio la perdita di autonomia, mentre per descrivere i disturbi iniziali di memoria, con autonomia interamente conservata, si parla di disturbo cognitivo lieve o “Mild Cognitive Impairment (MCI)”. Questa condizione, diagnosticabile con opportune valutazioni neuropsicologiche, spesso precede di alcuni anni la demenza vera e propria. Sappiamo inoltre che il processo patologico che colpisce il cervello e che è responsabile della manifestazione clinica di MCI e poi di demenza precede di vari anni queste condizioni cliniche.

La ricerca ha dimostrato infatti che alla base della malattia vi è l’accumulo progressivo nel cervello di una proteina, chiamata beta-amiloide, che distrugge le cellule nervose e i loro collegamenti. Oggi è possibile dimostrare l’accumulo di questa proteina nel cervello mediante la PET (Positron Emission Tomography), con la somministrazione di un tracciante che lega tale proteina. Inoltre è possibile analizzare i livelli di questa proteina nel liquido cerebro-spinale, mediante una puntura lombare. Tali esami possono dimostrare accumuli della proteina anche anni prima delle manifestazioni cliniche della malattia.

Accanto a questi esami specifici per la proteina beta-amiloide, altri esami quali la risonanza magnetica cerebrale o la PET con un tracciante per lo studio del metabolismo cerebrale (PET FdG) possono documentare una iniziale atrofia od un ridotto metabolismo del cervello anche nelle fasi più iniziali della malattia. Questi esami permettono quindi una diagnosi più accurata, precoce o addirittura preclinica della malattia di Alzheimer, ossia prima che si sia dimostrata clinicamente la demenza. La diagnosi precoce è indispensabile per poter indirizzare il paziente verso strategie terapeutiche, attualmente in fase avanzata di sperimentazione, che potrebbero modificare il decorso della malattia. Queste terapie in via di sperimentazione agirebbero proprio sulla proteina beta-amiloide, bloccandone l’accumulo, inibendone la produzione o rimuovendola con anticorpi.

Attualmente nel paziente con demenza sono disponibili solo terapie sintomatiche che mitigano i deficit di memoria o i disturbi comportamentali associati, ma non esiste una terapia efficace nel bloccare l’avanzare della malattia. Per tale motivo riveste un ruolo cruciale proprio una diagnosi precoce di declino cognitivo lieve, perché le nuove strategie terapeutiche che bloccano la proteina beta-amiloide, attualmente in fase sperimentale, saranno verosimilmente efficaci solo se somministrate nelle fasi prodromiche di malattia, cioè prima che si sia manifestata la demenza in fase conclamata, quando le cellule nervose sono ormai irreparabilmente danneggiate.

Inoltre, la prevenzione può giocare un ruolo fondamentale, poiché la ricerca scientifica ha fatto enormi passi avanti nell’identificazione di fattori che incrementano il rischio di sviluppare la patologia: in particolare i fattori di rischio per le patologie vascolari quali ipertensione, diabete, obesità, fumo, scarsa attività fisica, contribuiscono anche ad un rischio maggiore di sviluppare la Malattia di Alzheimer.

Da questo deriva un ruolo fondamentale per la prevenzione: studi recenti hanno dimostrato che stili di vita adeguati come l’esercizio fisico, la pratica di hobbies e i rapporti sociali agiscano da fattore protettivo non soltanto nei confronti della malattia di Alzheimer, ma più in generale delle varie forme di demenza esistenti. Infine va sottolineato come l’alimentazione rivesta un ruolo fondamentale nella prevenzione: la dieta mediterranea, ricca di sostanze antiossidanti naturali, oltre a ridurre l’incidenza di patologie cardiovascolari e tumori, è in grado di ridurre o ritardare anche la comparsa di questa malattia neurodegenerativa.

fonte: ufficio stampa

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