Morti improvvise nello sport, quando la genetica può prevenirle

Il gruppo dell’italiano Peter Schwartz all’avanguardia internazionale nella ricerca e nella cura delle aritmie di origine genetica, alla base delle morti improvvise in chi pratica sport sia a livello agonistico che dilettantistico

Peter Schwartz con il suo team clinico e di ricerca biomedica sulle aritmie di origine genetica in Auxologico

Milano, 30 giugno – Troppo spesso veniamo colpiti dalla notizia che un giovane in buona salute, magari un atleta, è morto improvvisamente e allora ci domandiamo “ma non si poteva sapere prima che era a rischio?”. Una utile risposta a questa domanda giunge da tre documenti appena pubblicati in Europa e a cui ha contribuito il Centro per le Aritmie di Origine Genetica dell’Istituto Auxologico Italiano, diretto dai Professori Peter Schwartz e Lia Crotti.

Il primo documento, coordinato dal prof. Arthur Wilde di Amsterdam e pubblicato simultaneamente in Europace e in ben altre tre prestigiose riviste scientifiche, è stato firmato da 27 esperti tra cui la prof.ssa Lia Crotti e rivisto per l’approvazione da un altro gruppo di esperti tra cui il prof. Schwartz. Questi numeri indicano che per molti anni quanto scritto guiderà le indicazioni per fare i test genetici aventi l’obiettivo di identificare precocemente i soggetti ancora in buona salute ma a rischio di morte improvvisa.

In molte condizioni lo screening genetico effettuato sulla base di un sospetto clinico aiuta i medici a formulare una diagnosi precisa, fornisce informazioni sulla prognosi e può determinare la terapia più efficace. Per esempio nella sindrome del QT lungo, che può essere fatale ma che si cura molto bene, l’elettrocardiogramma può essere quasi normale e l’analisi genetica è necessaria per chiarire la diagnosi e permettere una terapia “mirata” in quanto “la specifica variante genetica può determinare le situazioni a rischio (quali sforzi fisici o rumori improvvisi) come abbiamo dimostrato 20 anni fa” dice il prof. Schwartz.

Il grande impatto clinico della genetica è ben dimostrato dal fatto che una volta identificata la mutazione che causa la malattia in un soggetto diventa possibile, in pochi giorni, valutare l’intera famiglia (queste malattie genetiche si trasmettono con una probabilità del 50% ad ogni gravidanza e quindi molti familiari possono essere affetti). Ad esempio, dopo un arresto cardiaco in un atleta diventa imperativo cercare di identificare la mutazione responsabile e poi cercarla subito in tutta la famiglia per prevenire ulteriori rischi o tragedie.

Il secondo documento, pubblicato sull’International Journal of Cardiology, rappresenta il punto di vista ufficiale della Società Italiana di Cardiologia dello Sport ed è stato coordinato dal dott. Luigi Sciarra (Presidente della SIC Sport) e dal prof. Domenico Corrado dell’Università di Padova. A questo documento ha contribuito significativamente il Centro per le Aritmie di Origine Genetica dell’Istituto Auxologico Italiano con la dott.ssa Silvia Castelletti e i Professori Schwartz e Crotti.

Questo documento fornisce una utile guida ai Medici dello Sport per decidere quando è opportuno eseguire uno screening genetico in un atleta, sulla base del sospetto diagnostico di varie cardiomiopatie (come la cardiomiopatia aritmogena o la cardiomiopatia ipertrofica) e canalopatie (come sindrome del QT lungo o sindrome di Brugada).

Particolarmente importante è l’informazione riguardante le probabilità che il test genetico dia risposte utili per una decisione clinica perché “queste probabilità variano da malattia a malattia e sono particolarmente alte per la sindrome del QT lungo e per la Tachicardia Ventricolare Catecolaminergica (CPVT)” dice la prof.ssa Crotti.

Il terzo documento, pubblicato sullo European Journal of Preventive Cardiology e coordinato dal prof. Michael Papadakis di Londra, ha voluto fornire anche un approccio pratico presentando una serie di scenari clinici per sottolineare l’importanza del test genetico per la diagnosi, la stratificazione del rischio e la terapia in atleti in cui si sospetti una cardiopatia o una canalopatia ereditaria.

“In Italia siamo molto attenti alla prevenzione e siamo tra i paesi al mondo in cui gli atleti vengono studiati più attentamente. La genetica deve essere parte integrante di queste valutazioni quando i dati clinici suggeriscono la presenza di una malattia aritmogena ereditaria”, dice la prof.ssa Crotti.

“È sempre più evidente come la genetica delle aritmie sia uscita dai laboratori di ricerca e sia ora in grado di contribuire in modo decisivo al management clinico e alla prevenzione della morte cardiaca improvvisa, soprattutto nei giovani e negli atleti” ricorda il prof. Schwartz che nel Centro delle Aritmie di Origine Genetica vede ogni giorno, con i suoi collaboratori, 6-8 famiglie con queste malattie.

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