Morbo di Parkinson, la ricerca avanza. Nuove possibilità di cura associate a un enzima

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Un recentissimo studio a firma del ricercatore palermitano Roberto Di Maio della Fondazione Ri.MED, condotto in collaborazione con l’Università di Pittsburgh e UPMC, ha evidenziato che l’enzima LRRK2, le cui mutazioni genetiche sono associate all’insorgenza di Parkinson familiare, risulta essere iperattivo anche nelle forme più comuni e diffuse di Parkinson acquisito (Parkinson idiopatico). Questa scoperta allargherebbe le possibilità di cura a una più vasta popolazione di pazienti. Questo studio, inoltre, per la prima volta, spiega il possibile ruolo di LRRK2 nella patogenesi della malattia di Parkinson, descrivendo il suo coinvolgimento nell’accumulo intracellulare di forme neurotossiche di alfa-sinucleina

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Pittsburgh, 26 luglio 2018 – Si chiama LLRK2 ed è un enzima specifico del Morbo di Parkinson. Fino ad oggi si pensava che la sua mutazione fosse responsabile solo di una ridotta percentuale (il 3-4%) di casi di malattia. Un nuovo studio condotto dalla University of Pittsburgh School of Medicine, UPMC e Ri.MED, recentemente pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, ha rilevato un’attività anomala dell’enzima LRRK2 anche nelle forme non ereditarie di Parkinson.

L’autore della ricerca, Roberto Di Maio, palermitano, è Assistant Professor presso il Pittsburgh Institute for Neurodegenerative Diseases, diretto dal Prof. J. Timothy Greenamyre e Principal Investigator della Fondazione Ri.MED, grazie all’accordo tra i due enti.

“Si tratta di una scoperta rilevante – ha dichiarato Di Maio – che potrebbe consentire di espandere l’utilizzo di alcuni farmaci in via di sviluppo in grado di bloccare l’attività enzimatica di LRRK2 – pensati inizialmente solo per alcune forme di Parkinson familiare – ad una ben più vasta popolazione di pazienti affetti da Parkinson idiopatico”.

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Prof. Roberto Di Maio

Secondo il Ministero della Salute, il morbo di Parkinson colpisce 230 mila persone in Italia e circa 10 milioni nel mondo, ma ad oggi non si conoscono con certezza le cause dell’insorgere della malattia, attribuite ad un insieme di fattori genetici e ambientali. Dal 2004 però qualche passo in avanti è stato fatto, grazie all’evidenza scientifica che alcune mutazioni del gene LRRK2, in grado di inattivare l’enzima che porta stesso nome, sarebbero in grado di ‘accendere’ la malattia di Parkinson a trasmissione ereditaria in un piccolo gruppo di pazienti.

La difficoltà nello sviluppo di questa ricerca risiedevano nel fatto che la proteina LRRK2 è molto difficile da studiare, perché presente in quantità estremamente ridotte nelle cellule nervose colpite dal morbo di Parkinson. Per superare questo problema, il team coordinato da Di Maio ha progettato una “sonda” molecolare luminescente: una sorta di rilevatore di attività dell’enzima LRRK2 in grado di emettere segnali di colore fluorescenti quando l’enzima è attivo: ciò ha permesso di rivelare i livelli di attività enzimatica di LRRK2 all’interno dei “neuroni della dopamina”, le cellule nervose più frequentemente colpite dal morbo di Parkinson.

“Applicando questa tecnica – spiega Di Maio – abbiamo potuto osservare che LRRK2 era altamente attivo nei neuroni della dopamina presenti nel tessuto cerebrale post-mortem di pazienti malati di Parkinson idiopatico, in cui non è stata osservata alcuna mutazione genetica di LRRK2, ma non nel tessuto cerebrale proveniente da individui sani. “Ciò suggerisce – conclude il ricercatore – che l’iperattività di LRRK2 può essere rilevante in tutte le persone con Parkinson, non solo in pazienti con la mutazione del gene”.

Un secondo risultato importante dello studio è stato avere trovato un collegamento tra la LRRK2 e un’altra proteina, chiamata α-Sinucleina, entrambe separatamente riconosciute responsabili nell’insorgenza del Parkinson.
“Questo enzima – spiega Di Maio – sia durante i normali processi di invecchiamento, che in condizioni patogeniche, presenta la tendenza ad aggregarsi fino a formare strutture fibrillari, chiamate “corpi di Lewy”, un marker tipico dei neuroni della dopamina di pazienti affetti da Parkinson.

Il fenomeno di accumulo dell’alfa-sinucleina è ancora da chiarire, tuttavia in questo studio i ricercatori hanno osservato che l’attivazione di LRRK2 è in grado di bloccare i meccanismi utilizzati dalle cellule per eliminare l’alfa-sinucleina in eccesso, portando di conseguenza al suo accumulo. Inoltre, in roditori trattati con un farmaco in fase di sviluppo, mirato a bloccare l’attività di LRRK2, è stata osservata l’assenza di accumulo di forme tossiche dell’alfa-sinucleina.

“Questo fenomeno – ha commentato Di Maio – spiegherebbe come LRRK2 si associ a cause di sviluppo del Parkinson sia di tipo genetico che ambientale, tra cui lo stress ossidativo indotto da alcuni tipi di pesticidi o solventi, in grado di indurre neurodegenerazione parkinsoniana correlata all’accumulo di forme tossiche dell’alfa-sinucleina ed alla formazione di corpi di Lewy nel cervello”.

A fronte di questi risultati preliminari, il team di ricerca intende ora capire come lo stress ossidativo e le tossine ambientali causino l’attivazione di LRRK2 e se la neurodegenerazione indotta dall’iperattivazione di LRRK2 possa essere prevenuta.

Alessandro Padova, direttore generale della Fondazione Ri.MED, evidenzia che “grazie all’accordo con l’Università di Pittsburgh e UPMC, nostri partner fondatori, i risultati di questa, come di molte altre ricerche, vengono direttamente trasferiti in Sicilia per il tramite di UMPC Italy e di Ri.MED, la cui ricerca è fortemente orientata al concetto di medicina personalizzata e al rapido trasferimento delle innovazioni all’applicazione clinica”.

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