Metastasi scheletriche, come evitare fratture nei pazienti oncologici

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Pisa, 24 marzo 2017 – Da oltre due anni esiste in Aou pisana un percorso ambulatoriale multidisciplinare per evitare le fratture nei pazienti oncologici affetti da metastasi scheletriche, i quali sono esposti al rischio dei cosiddetti – eventi scheletrici secondari – (fratture patologiche dovute non a traumi ma all’indebolimento dello scheletro), o alle compressioni midollari (determinate anch’esse da fratture patologiche o da invasione midollare da parte della neoplasia). Lo scheletro è infatti la terza sede di metastasi dopo fegato e polmoni e l’incidenza è destinata ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione e della maggiore aspettativa di vita.

Negli anni si è verificato spesso che questi pazienti siano giunti dall’ortopedico a frattura ormai avvenuta e sia stato necessario sottoporli ad intervento chirurgico in condizioni non ottimali, sia per le loro condizioni sia per le maggiori difficoltà tecniche da parte del personale sanitario. Questo si è tradotto in un aumento delle complicanze sia intra- che post-operatorie, con conseguente riduzione della loro aspettativa e qualità di vita.

Proprio per evitare tali esiti a Pisa è stato istituito questo percorso multidisciplinare, nell’Unità operativa di Ortopedia e traumatologia 1 universitaria diretta dal prof. Michele Lisanti, per individuare e valutare le lesioni a rischio di frattura, in particolar modo ad arti inferiori, bacino e colonna vertebrale, ed evitare quindi – intervenendo precocemente – complicanze maggiori per il paziente, conservandogli per quanto possibile la sua autonomia e riducendo i costi aggiuntivi alla spesa sanitaria.

Anche perché oggi, grazie ai progressi delle terapie, i pazienti con metastasi scheletriche non sono più considerati terminali e quindi è fondamentale non esporli al rischio di probabili complicanze scheletriche, intervenendo per tempo sulle lesioni.

Molte di queste possono essere anche trattate chirurgicamente con tecniche mini-invasive. Anzi, se vengono identificate e trattate precocemente, si possono evitare interventi di cosiddetta ‘chirurgia maggiore’ che prevedono la stabilizzazione o la sostituzione con protesi del segmento scheletrico interessato.

Tutto questo, ovviamente deve essere calibrato sul paziente e sulla malattia, in quanto è proprio in queste circostanze che si evidenzia la singolarità ed univocità del complesso persona-malattia. Ogni patologia ha un suo percorso con diverse prognosi ed ogni paziente risponde in modo differente alle terapie.

L’ortopedico quindi si affaccia in un mondo complesso e si interfaccia con numerosi specialisti, primi fra tutti gli oncologi ma anche i radioterapisti, i radiologi, i radiologi interventisti, i neurochirurghi, i chirurghi generali, etc etc. Pertanto si tratta di un ambulatorio ultra specialistico con competenze che vanno oltre la comune pratica ortopedica.

Devono infatti essere valutati numerosi parametri: la sede ed il tipo di lesione, la patologia primaria, le condizioni generali del paziente, l’aspettativa di vita, il rapporto rischio/benefico dell’intervento chirurgico, la tempistica (ottimizzazione dei valori ematochimici pre-operatori alterati dalle chemioterapie).

E’ un percorso quindi basato sulla stretta collaborazione tra tante figure specialistiche che si può realizzare solamente in centri di riferimento che dispongono di questa multidisciplinarità, in modo da offrire ai pazienti tutto il ventaglio di opzioni terapeutiche più adatte al singolo caso.

fonte: ufficio stampa

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