Roma, 1 ottobre 2018 – L’allattamento ha molti effetti positivi sulla salute e sullo sviluppo del neonato, tanto che le Società di Pediatria internazionali raccomandano il latte materno come forma primaria di nutrizione per i primi 6 mesi di vita e come nutrimento complementare sino ai 2 anni. Ma per le giovani donne che soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali – M.I.C.I. come la Malattia di Crohn o la Colite Ulcerosa emerge il timore di non poter allattare se continuano la terapia che consente loro di tenere sotto controllo la malattia.
“Oggi queste malattie si tengono sotto controllo con un ristretto numero di agenti che regolano il sistema immunitario, con un’efficacia variabile da paziente a paziente che, tuttavia, può esaurirsi con il passare del tempo – ricorda il dott. Roberto Lorenzetti, gastroenterologo e vice presidente della Società Italiana di GastroReumatologia SIGR – Di recente, progressi importanti si stanno facendo con la sperimentazione anche in Italia, sia in laboratorio per la sintesi di nuove molecole che in studi clinici, sull’utilizzo di nuovi farmaci biologici attivi nei confronti di varie citochine che favoriscono l’infiammazione”.
“Molte donne affette da M.I.C.I. pensano che la malattia e la conseguente terapia siano un ostacolo all’allattamento dei loro figli – avverte la dott.ssa Aurora Bortoli, gastroenterologa della Fondazione IBD onlus Piemonte in occasione del 5° Congresso Nazionale della Società Italiana di GastroReumatologia SIGR a Roma dal 12 al 13 ottobre – Va detto invece che pur avendo le malattie infiammatorie croniche intestinali un andamento cronico-intermittente, con fasi di malattia silente e fasi di malattia attiva, l’allattamento non è associato con un aumentato rischio di riacutizzazione della malattia: anzi, vi sono sufficienti dati a favore per cui allattare non solo è possibile ma vi sia una diminuzione delle recidive nel periodo post-partum. Al contrario, la sospensione della terapia durante l’allattamento può indurre un peggioramento della malattia ed è quindi da valutare con attenzione insieme allo specialista”.
“Il rischio da farmaci non è lo stesso durante la gravidanza o durante l’allattamento – spiega la dott.ssa Bortoli – Nonostante una modesta quantità di farmaco possa essere presente nel latte materno, di fatto il passaggio attraverso il tratto intestinale del neonato e l’assorbimento della sostanza ne riducono ulteriormente la quantità, generalmente a dose non terapeutica, con l’assenza di effetto negativo sul neonato. Pertanto, la maggior parte dei farmaci utilizzati nella terapia delle malattie infiammatorie croniche intestinali è compatibile con l’allattamento (Salazopirina, Mesalazina e Azatioprina). Anche i farmaci biologici come Infliximab, Adalimumab, Golimumab, Vedolizumab sono considerati compatibili. Mentre va prestata un’attenzione particolare a Ciclosporina, il Methotrexate e il Micofenolato, considerati più a rischio per il nascituro e da valutare quindi attentamente da parte dello specialista. Infine i cortisonici possono essere utilizzati con sicurezza sino alla dose materna di 40 mg/die”.
In Italia soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali almeno 150.000 persone e ogni anno si contano circa 20 nuovi casi ogni 100.000, un tasso di incidenza in costante aumento in tutti i Paesi Industrializzati. I sintomi principali di queste malattie ad origine autoimmune vanno dalla diarrea cronica con dolori addominali e crampi, a febbre, astenia, sangue nelle feci, calo ponderale con un possibile coinvolgimento anche di altri organi e tessuti che determinano importanti ricadute sulla vita quotidiana dei pazienti.