Malattia di Huntington, dalla ricerca una nuova prospettiva terapeutica

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Un importante mediatore delle funzioni delle cellule neuronali, alterato dalla patologia, potrebbe essere un nuovo bersaglio per terapie innovative

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Pozzilli, 14 luglio 2017 – L’alterazione dei livelli degli sfingolipidi, componenti fondamentali della membrana delle cellule del cervello, sembra giocare un ruolo cruciale della Malattia di Huntington. Intervenire sul metabolismo di queste molecole potrebbe rappresentare una strada innovativa per combattere il decorso di questa gravissima patologia genetica.

Sono i risultati di una ricerca condotta dal Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) in collaborazione con altre istituzioni scientifiche italiane e internazionali, tra cui l’IIT di Genova e le Università Vanderbilt, negli USA, e Cambridge, nel Regno Unito.

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Dott.ssa Alba Di Pardo

La Malattia di Huntington è una grave e rara condizione genetica neurodegenerativa che colpisce la coordinazione dei movimenti e porta a un inarrestabile declino neurologico. La malattia è causata da una mutazione del gene che codifica per la proteina “huntingtina”. La proteina, prodotta in una forma alterata, interferisce con l’omeostasi del cervello alterandone le normali funzioni.

Pubblicato sulla rivista Scientific Reports (Nature Publishing Group), lo studio Neuromed ha preso in esame un aspetto nuovo. I ricercatori hanno analizzato i livelli di sfingosina-1-fosfato (S1P), un particolare sfingolipide che controlla importanti funzioni nei neuroni e nelle cellule che costituiscono la sostanza bianca del sistema nervoso (mielina).

“I nostri esperimenti – spiega Alba Di Pardo, ricercatrice del Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare, primo nome del lavoro scientifico – hanno mostrato come il funzionamento degli enzimi coinvolti nel metabolismo di S1P sia alterato nella Malattia di Huntington. Questo fenomeno è stato osservato sia nei modelli animali che nei tessuti umani”.

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Dott. Vittorio Maglione

“I nostri risultati – continua Di Pardo – sono molto incoraggianti. La modulazione farmacologica dell’attività di questi enzimi induce l’attivazione di meccanismi molecolari che mitigano gli effetti tossici della mutazione, in neuroni ottenuti da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) derivanti da pazienti con la malattia”.

Non è ancora del tutto chiaro come la mutazione della huntingtina possa provocare la riduzione dei livelli di S1P, ma i ricercatori Neuromed ritengono che i disturbi a carico degli sfingolipidi possano avere una notevole importanza.

“Un difetto nel metabolismo di S1P – spiega Vittorio Maglione, responsabile dello studio – potrebbe contribuire allo sviluppo della Malattia di Huntington. Per questo motivo pensiamo che interventi mirati a modulare i livelli di questo sfingolipide potrebbero offrire prospettive nuove per una patologia per la quale attualmente non esistono cure”.

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