Lotus birth, per la SIN è da evitare. Altissimo il rischio di infezione

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La Società Italiana di Neonatologia la esclude tra le modalità di parto. I vantaggi solo ipotizzati, troppi i rischi

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Roma, 8 giugno 2017 – Negli ultimi mesi sono aumentate le richieste di Lotus birth in Italia, alcuni ospedali la consentono, mentre altri stanno valutando la possibilità di inserirla tra le modalità previste per partorire.

Il parto “Lotus”, chiamato così dal nome dell’infermiera californiana che lo ha richiesto per la prima volta nel 1974 alla nascita di suo figlio, è caratterizzato dalla mancata recisione del cordone ombelicale con la conseguenza che la placenta e gli annessi fetali rimangono attaccati al neonato anche dopo il secondamento (ultima fase del parto in cui viene espulsa la placenta).

La Società Italiana di Neonatologia (SIN) esclude la possibilità di effettuare la Lotus birth in Italia per diverse ragioni. Innanzitutto mancano oggi evidenze scientifiche che ne dimostrino il reale vantaggio per la mamma e per il neonato, e il pericolo di infezioni che potrebbero mettere a rischio la salute e anche la vita del bambino non è infondato.

I vantaggi ipotizzati di un maggiore passaggio di sangue dalla placenta al neonato, infatti, vengono meno dopo pochi minuti, quando il cordone smette di pulsare, mentre elevato può essere il rischio di infezione.

Da un punto di vista strettamente normativo, poi, nel nostro Paese le Linee Guida ministeriali sul parto non contemplano questa procedura, come tale non riconosciuta a livello nazionale. In caso di conseguenze negative per madre e bambino, si creerebbe un problema di natura giuridica per la struttura e il medico che decidono di attuarla. Tale posizione è avvalorata anche da un dettagliato parere legale che la Società Italiana di Neonatologia ha commissionato allo studio Granata di Milano.

La Lotus birth prevede che la separazione del neonato dalla placenta avvenga naturalmente, generalmente tra i 3 e i 10 giorni, quando il cordone si secca e si distacca spontaneamente dall’ombelico.
In questo periodo la placenta, trasportata sempre con il neonato, viene conservata in un sacchetto o in una bacinella e a volte viene cosparsa con sale grosso per favorirne l’essiccamento e con qualche goccia di olio profumato per mascherarne il cattivo odore.

I fautori di questa pratica ritengono che con la Lotus birth il distacco avviene quando bambino e placenta hanno concluso il loro rapporto e decidono sia giunto il momento della separazione, considerandolo un modo più dolce, sensibile e rispettoso per entrare nella vita.

Alcuni importanti ospedali italiani, ai quali era stata fatta richiesta di effettuare la Lotus birth negli ultimi mesi, hanno ritenuto che questa procedura non può essere praticata perché non consente il rispetto delle norme igienico-sanitarie vigenti e perché il rischio infettivo è reale.

Inoltre la SIN ricorda che la placenta non può essere portata al di fuori dall’ospedale in quanto rifiuto speciale che, come tale, va smaltito secondo la normativa vigente (Decreto Legge 152/2006; GSA igiene urbana N.3/2012; DPR 254, luglio 2003).

Anche l’eventuale sottoscrizione del consenso informato da parte dei genitori, secondo il parere dello studio legale contattato dalla SIN, potrebbe essere ritenuto non idoneo ad annullare la responsabilità del medico curante e della struttura per un ipotetico giudizio che potrebbe insorgere in seguito a danni al neonato.

Se questa procedura venisse in ogni caso effettuata, nel caso del parto in casa, anch’esso sconsigliato dalla SIN, la Società Italiana di Neonatologia raccomanda un attento e stretto controllo del neonato per identificare precocemente segni clinici di una possibile infezione.

fonte: ufficio stampa

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