Lotta all’antimicrobico resistenza, la best practice della Regione Campania

Intervista al prof. Giovanni Battista Gaeta, Ordinario e Direttore UOC Malattie Infettive dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli

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Prof. Giovanni Battista Gaeta

Professore, quali i punti salienti delle linee guida che avete sviluppato in Campania per il contrasto alla Resistenza Antimicrobica?
Per lo sviluppo delle linee giuda, siamo partiti considerando l’elevata presenza di germi multiresistenti sia nelle aziende ospedaliere sia sul territorio. Abbiamo quindi deciso di dare seguito a quanto previsto dal PNCAR,lavorando alla formulazione di raccomandazioni legate alla terapia antibiotica in particolare su pazienti in stato febbrile e con sintomi di infezione.

In seguito abbiamo promulgato queste raccomandazioni sul Bollettino regionale per le sindromi infettive quali infezioni addominali, endocarditi, polmoniti (queste ultime hanno un’alta incidenza sul nostro territorio e in ospedale).

Il lavoro non è finito qui. È, infatti,iniziato il processo di“disseminazione”delle informazioni. Stiamo ad esempio lavorando alacremente per mettere a disposizione dal prossimo autunno una FAD gratuita, della durata di un anno, rivolta ai medici sul territorio, ai medici ospedalieri, ai farmacisti e ai microbiologi.

Il processo di condivisione di informazioni, questo che ho definito ‘disseminazione’, è fondamentale, ed è il primo step di una catena di eventi che prevederà anche il coinvolgimento dei medici sul territorio, dei farmacisti, e non per ultimo un’opera di sensibilizzazione delle persone.

Spesso, infatti, sono i pazienti stessi che premono per la terapia antibiotica, o che recuperano gli antibiotici rimasti a disposizione da precedenti terapie, utilizzandoli quindi in maniera impropria e favorendo così l’aumento delle resistenze.

Per dare un’idea del problema: in Campania abbiamo il 40% di Streptococcus pneumoniae resistente ai più comuni antibiotici come i macrolidi. Invece i chinolonici risultano spesso inefficaci perché i ceppi di Escherichia Coli che circolano sul territorio hanno una resistenza nel 40-50% dei casi.

Vuole dare un consiglio, un’indicazione da rivolgere a chi, nelle altre regioni d’Italia, volesse implementare un’iniziativa analoga alla vostra?
Noi abbiamo messo a punto un modello che rimane perfettibile: ben venga, dunque, che altre regioni utilizzino il risultato del nostro lavoro per migliorarlo. La nostra è un’operazione ancora in fase di start up, per essere sviluppata e migliorata richiederà il contributo di tutti.

Qual è la difficoltà maggiore che avete incontrato nello sviluppo di queste linee guida?
La difficoltà rimane in quello che ho definito “processo di disseminazione”. Sarebbe utile, in questo senso, che venga fatta anche una corretta opera di sensibilizzazione rivolta ai media, in modo da generare una consapevolezza maggiore su questi temi anche nel medio-lungo periodo.

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