Lo studio presentato da un’equipe di ricercatori dell’Università di Bologna: la patologia è stata individuata con un esame del sangue della madre prima dei metodi tradizionali
Bologna, 7 settembre 2015 – Anche una patologia come la Sindrome di DiGeorge può essere individuata con uno screening non invasivo su DNA fetale nelle prime settimane di gravidanza: è questa la conclusione di uno studio realizzato, in collaborazione con Geneticlab, dai ricercatori dell’Università di Bologna coordinati dal prof. Antonio Farina, pubblicato sulla rivista internazionale “Case Reports in Obstetrics and Gynecology”.
La Sindrome di DiGeorge, malattia causata dalla delezione di una porzione del Cromosoma 22 del feto, può sfociare in diverse manifestazioni cliniche, coinvolgendo diversi organi e causando difetti cardiaci, anomalie e malformazioni. Lo studio ha illustrato come lo screening non invasivo su DNA fetale, nello specifico il “Test Panorama” promosso in Italia da Geneticlab, centro diagnostico di riferimento a livello nazionale nel settore della genetica e della biologia molecolare, possa individuare in maniera precoce rispetto ai tradizionali metodi di indagine (ecografia e analisi invasiva) anche patologie meno conosciute.
I primi controlli ecografici fatti dalla paziente, infatti, non avevano evidenziato questa alterazione che invece è stata diagnosticata già alla 12esima settimana di gestazione dallo screening ed è stata poi confermata con la tecnica MLPA su amniocentesi condotta dall’U.O. di Genetica Medica del Policlinico Sant’Orsola Malpighi diretta dal prof. Marco Seri e con analisi eco morfologica. Si tratta del primo caso in Italia riportato da una rivista scientifica.
“Allo stato attuale possiamo affermare che solo la tecnica non invasiva su DNA fetale (NIPT) consente di identificare già nel primo trimestre di gravidanza questo tipo di patologie – afferma il prof. Antonio Farina, docente del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna e coordinatore del progetto – Le normali tecniche invasive di routine non ricercano le Microdelezioni, se non in casi particolari, e comunque intorno alla 20esima settimana. Per questo motivo in futuro il ruolo della diagnosi prenatale non invasiva sarà sempre più importante e la ricerca in questo ambito contribuirà ad aumentare il grado di conoscenza e consapevolezza anche delle future mamme”.
Oggi le tecniche NIPT possono contribuire ad individuare precocemente nel feto una serie di patologie legate ad alterazioni numeriche dei cromosomi, con un semplice prelievo del sangue della madre. Grazie a questa nuova metodica, molto utilizzata negli Stati Uniti e che sta prendendo sempre più piede anche nel nostro Paese, è possibile avere una valutazione delle principali aneuploidie fetali comuni in gravidanza (es. Sindrome di Down), ma anche di patologie meno note ma con una diffusione considerevole.
La Sindrome di DiGeorge è infatti una patologia più diffusa di quanto si creda: l’incidenza è di 1 su 2.000/4.000 bambini nati vivi, del tutto paragonabile a quella di una malattia più conosciuta come la fibrosi cistica (secondo la Lega Italiana Fibrosi Cistica è di 1 ogni 2.500-2.700). È inoltre una malattia indipendente dall’età materna (a differenza, ad esempio, della Sindrome di Down), che non viene ricercata durante le normali tecniche invasive di routine previste dai protocolli nazionali.
Lo studio pubblicato vuole evidenziare le potenzialità dei Test di screening non invasivi e di come possano contribuire a un’informazione completa per la madre sulla sua gravidanza. È importante sottolineare però che la metodica NIPT non sostituisce gli esami diagnostici conclusivi tradizionali (come amniocentesi e villocentesi) e che ogni paziente deve valutare col proprio medico il percorso più opportuno per la gravidanza e la tipologia di screening da effettuare.
fonte: ufficio stampa