Incontinenza fecale: nuove tecniche mininvasive e miniprotesi per ricostituire la funzione fisiologica

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I primi risultati di questa nuova tecnica presentati per la prima volta quest’anno su un’importante rivista di settore si devono all’équipe dell’Unità Operativa di Proctologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma

chirurghi-medici-ospedaleRoma, 21 dicembre 2016 – Delle piccole protesi inserite con un breve intervento mininvasivo per ridare forma al “sistema di continenza” anale e ripristinarne la funzione fisiologica, curando l’incontinenza fecale, un problema diffuso, spesso conseguente al parto, ma non solo.

I primi risultati di questo approccio mininvasivo sono stati presentati quest’anno in una pubblicazione sulla rivista Techniques in Coloproctology, una delle maggiori riviste internazionali del settore da parte del prof. Carlo Ratto, responsabile dell’Unità Operativa di Proctologia della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli”, che ha inventato e messo a punto questa innovativa tecnica chirurgica.

La patologia
L’incontinenza fecale è una condizione clinica complessa, che affligge un considerevole numero di persone, stimato intorno al 2-5% della popolazione, con un’incidenza sensibilmente più elevata al di sopra dei 50 anni. Le cause possono essere di diverso tipo e prevalgono le lesioni sfinteriali da parto (la causa più frequente nelle donne) e quelle da interventi chirurgici eseguiti a livello anale. Frequenti anche le incontinenze di natura neuropatica, da trattamenti (non solo chirurgici ma anche radianti) di neoplasie pelviche (rettali e ginecologiche in particolari); da cause metaboliche, come conseguenza di interventi neurochirurgici e quali esiti del prolasso rettale.

Anche i sintomi possono variare: da piccole perdite di materiale fecale o gas intestinale a una vera e propria incapacità a percepire o trattenere lo stimolo, con perdita incontrollata di feci liquide e solide. Tale condizione è vissuta in maniera drammatica dal paziente, diventando una forte limitante alla vita sociale e familiare. Il pudore, l’imbarazzo, la vergogna per essere incontinente rendono il paziente è reticente a parlarne, anche ai medici che, per di più, spesso gli inducono la convinzione che non esista rimedio a questo problema. E questa è la più importante convinzione da sfatare: il paziente infatti deve essere opportunamente informato durante una visita proctologica e da qui potrà essere avviato ad una diagnosi accurata.

Attraverso semplici accertamenti si potranno identificare le possibili cause dell’incontinenza fecale e, di conseguenza, pianificare un adeguato trattamento per risolvere o migliorare i sintomi.

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Schema impianto SphinKeeper

Le cure
Esistono numerosi tipi di trattamento, dall’uso di farmaci alla terapia riabilitativa del pavimento pelvico ed alla chirurgia che, in passato, prevedeva interventi invasivi, con necessità di anestesia generale e lunghi ricoveri ospedalieri.

Nuove possibilità terapeutiche
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica hanno consentito la realizzazione dello SphinKeeper, un’assoluta novità in campo terapeutico, all’insegna della mininvasività. Laddove siano presenti lesioni o incapacità degli sfinteri anali di mantenere la naturale continenza, lo SphinKeeper, costituito da piccole protesi impiantate nel canale anale, forma un “nuovo sfintere”, con l’obiettivo di restituire una normale funzione.

L’intervento chirurgico si pratica in anestesia locale, ha una durata di circa 30 minuti e prevede l’uso di un dispositivo che impianta le protesi nello spazio tra i due sfinteri anali, con la massima precisione grazie all’ausilio di un’ecografia intraoperatoria.

Queste protesi sono solide e molto sottili (del diametro di 3 millimetri – il diametro di una mina di matita) ma, a contatto con i fluidi corporei, assorbono acqua e, entro 48 ore, raggiungono la forma definitiva di volume aumentato e consistenza soffice, come piccole spugne. Posizionando 10 protesi nel canale anale si realizza così il nuovo sfintere che dovrebbe essere in grado di migliorare la continenza.

Le protesi che costituiscono lo SphinKeeper sono realizzate in materiale biocompatibile e privo di effetti avversi, clinicamente testato e non degradabile, che garantisce la stabilità della protesi nella sede dell’impianto, anche dopo molti anni. Per tale motivo, i risultati clinici ottenuti dopo l’impianto appaiono duraturi nel tempo.

Gran parte dei pazienti che hanno effettuato questo intervento hanno mostrato una scomparsa o significativa diminuzione delle perdite fecali in modo da evitare o ridurre l’uso di pannoloni o salva-slip, con un netto miglioramento della loro qualità di vita.

Le protesi non procurano al paziente alcuna percezione della loro presenza, né tantomeno dolore; non determinano alcun impedimento al normale passaggio delle feci grazie alla possibilità che le protesi si lascino deformare, schiacciare; la presenza delle protesi non impedisce, inoltre, alcun tipo di procedura diagnostica o terapeutica.

“Nella mia personale esperienza – precisa il prof Ratto – nonché in quella dei colleghi chirurghi che lo praticano in diversi paesi del mondo (la metodica ha un regolare marchio CE, non ancora l’approvazione FDA negli Stati Uniti), non vi sono state complicanze derivate dall’intervento di impianto, in particolare non è stata mai segnalata infezione delle protesi e nessun caso di dolore anale. Diversi pazienti hanno riacquisito un completo controllo della continenza fecale. Ne è conseguito un miglioramento significativo sia degli score che misurano la severità dell’incontinenza fecale che di quelli che valutano la qualità di vita dei pazienti”.

“Il ruolo che possono rivestire gli impianti di Gatekeeper e SphinKeeper nel panorama complessivo del trattamento dell’incontinenza fecale è attualmente allo studio di alcuni protocolli scientifici – conclude il prof Ratto – In grandi linee tuttavia questo approccio può rappresentare la prima scelta in pazienti che presentino un’incontinenza fecale di severità minore ed in quelli dove non si evidenzino lesioni sfinteriali. Inoltre, grazie allo SphinKeeper, questa metodica può essere impiegata anche in pazienti con lesioni sfinteriali non eccessivamente estese. Infine, essa può rappresentare un utile completamento terapeutico nei casi trattati con altre procedure e che non abbiano ottenuto un soddisfacente controllo della continenza”.

fonte: ufficio stampa

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