Il ‘battito’ del cosmo: un nuovo metodo svela l’origine delle onde gravitazionali ultra-lente

Un nuovo studio su JCAP propone un metodo per distinguere le sorgenti delle onde gravitazionali a bassissima frequenza

Trieste, 15 ottobre 2025 – Le pulsar svelano la presenza di onde gravitazionali a frequenze ultra-basse che viaggiano nel cosmo, che potrebbero essere state prodotte da fonti diverse. Un segnale osservato nel 2023 da diverse collaborazioni internazionali di pulsar timing array potrebbe provenire da un fondo stocastico di onde gravitazionali – la somma di molte sorgenti lontane – oppure da una singola coppia di buchi neri supermassicci relativamente vicina.

Per distinguere tra queste ipotesi, Hideki Asada, fisico teorico e professore all’Università di Hirosaki, e Shun Yamamoto, ricercatore della Graduate School of Science and Technology della stessa università, propongono un metodo che sfrutta il fenomeno dei “battimenti” tra onde gravitazionali di frequenze quasi identiche, cercandone la traccia nei minuscoli scostamenti nei tempi di arrivo degli impulsi radio prodotti dalle pulsar.

Il loro lavoro è stato appena pubblicato sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics (JCAP).

Il cielo è punteggiato da “orologi cosmici” di straordinaria precisione: le pulsar, stelle di neutroni che emettono impulsi radio a intervalli regolari, come un costante tic-tac. I radiotelescopi terrestri monitorano questo ritmo non solo per studiare le pulsar stesse, ma anche per usarle come strumenti per esplorare e misurare l’universo.

Se qualcosa di invisibile – una specie di “fantasma cosmico” – passa fra noi e una pulsar può distorcere lo spazio/tempo, alterando la regolarità degli impulsi. Queste anomalie non si limitano a una singola pulsar ma compaiono in maniera coordinata (si parla di pattern di correlazione) nelle altre nella stessa regione di cielo, come se un’onda stesse attraversando lo spazio.

“Nel 2023 diverse collaborazioni di pulsar timing array – NANOGrav negli Stati Uniti e i gruppi europei – hanno annunciato forti evidenze di onde gravitazionali a nanohertz”, spiega Asada. Nanohertz significa periodi d’onda che durano mesi o anni, con lunghezze d’onda di diversi anni luce. Per studiare queste scale, si usano pulsar lontane e stabili, a centinaia o migliaia di anni luce da noi.

“Il segnale era statisticamente solido ma sotto la soglia dei 5 sigma che i fisici delle particelle richiedono di solito,” continua. Quando Asada parla di “5 sigma” si riferisce alla rilevanza statistica di un’osservazione. In cosmologia, dire che un risultato ha una significatività di 5 sigma significa che la probabilità che sia dovuta al caso è estremamente bassa – circa una su 3,5 milioni – ed è quindi considerato lo standard per parlare di una scoperta confermata.

“Si tratta di una forte evidenza, ma non ancora di una rilevazione confermata. Tuttavia la comunità di cosmologi e astrofisici ritiene che siamo vicini alla prima osservazione diretta di onde gravitazionali a nanohertz”, spiega Asada. Se il segnale verrà confermato in futuro, crede lo scienziato, il passo successivo sarà identificare l’origine del segnale.

“Ci sono due principali candidati per le onde gravitazionali a nanohertz – chiarisce – Una è l’inflazione cosmica, che avrebbe creato fluttuazioni dello spaziotempo nell’universo primordiale, poi allungate a scale cosmiche. L’altra è rappresentata da coppie di buchi neri supermassicci, formatesi durante la fusione di galassie. Entrambi gli scenari potrebbero generare onde gravitazionali di questa frequenza”.

La difficoltà sta nel fatto che i pattern di correlazione nei due casi possano essere quasi identici, Asada però pensa di aver trovato la chiave per distinguerli. “Nel nostro articolo abbiamo esplorato la situazione in cui una coppia di buchi neri supermassicci vicina produce un segnale particolarmente forte – spiega Asada – Se due sistemi del genere hanno frequenze molto simili, le loro onde possono interferire e creare un pattern di battimento, come in acustica. Questa caratteristica potrebbe, in linea di principio, permetterci di distinguerli dal fondo stocastico prodotto dall’inflazione”.

Asada e Yamamoto sfruttano quindi un effetto acustico ben noto: i battimenti. Quando due onde hanno frequenze quasi uguali, ma non identiche, la loro sovrapposizione produce un’alternanza periodica di rinforzo e attenuazione. Applicato alle onde gravitazionali, le coppie di buchi neri supermassicci con frequenze simili imprimerebbero una modulazione caratteristica nel segnale delle pulsar. Il metodo consiste nel cercare questa modulazione – il “battimento” – nei pattern di correlazione. Se presente, indicherebbe fortemente che il segnale non proviene da un fondo diffuso, ma da specifiche coppie di buchi neri relativamente vicine.

Ora si attende una conferma più solida sulla natura del segnale delle pulsar. “Penso che, una volta ottenuta una rilevazione confermata a 5 sigma – forse entro pochi anni – il passo successivo sarà chiedersi: qual è l’origine delle onde? A quel punto, il nostro metodo potrebbe essere utile per distinguere se provengono dall’inflazione o da coppie di buchi neri supermassicci vicine”, conclude Asada.

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