Fratture da fragilità ossea, un problema di gestione sanitaria di grandi proporzioni. Indagine CnAMC-Cittadinanzattiva

Roma, 10 dicembre 2020 – Dopo i 50 anni più del 30% delle donne e del 20% degli uomini va incontro ad una frattura da fragilità a causa di una ridotta resistenza ossea per un’alterata quantità e qualità del tessuto scheletrico. Chi ha presentato una frattura da fragilità ha una maggiore probabilità di rifrattura soprattutto nel breve, ma anche nel medio e lungo termine, con un previsto deterioramento della qualità di vita, aumento di morbilità e mortalità

In Italia, a fronte di una spesa annuale per la gestione delle fratture da fragilità di circa 9,4 miliardi di euro, solo 514 milioni vengono impiegati per la prevenzione primaria e secondaria delle fratture da fragilità (Rapporto OsMed relativo all’anno 2017). Si stima che, in assenza dell’adozione di contromisure efficaci, entro il 2030 nel nostro Paese il numero di questa tipologia di frattura aumenterà del 22,4%, con una spesa sanitaria attesa di 11,9 miliardi nel 2030 per la gestione delle stesse.

“La prevenzione delle fratture da fragilità ossea è una delle priorità identificate già da tempo dal Ministero della Salute ed è arrivato il momento di mettere in campo tutte le azioni possibili per migliorare la qualità di vita dei pazienti ed evitare ulteriori aggravi per il SSN. Il primo passo è quindi di rendere operativo il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per la gestione della persona con frattura da fragilità, realizzato da Cittadinanzattiva. Il percorso delineato ha come obiettivi quelli di giungere ad una diagnosi precoce, fare in modo che le fratture da fragilità ossea vengano identificate in maniera appropriata e al momento giusto, con un codice identificativo, fare in modo che vi sia una effettiva presa in carico del paziente con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti nell’intero percorso per il miglioramento della qualità della vita, favorire e potenziare la continuità assistenziale, coinvolgere e informare il paziente per uno stile di vita sano e una costante aderenza terapeutica, sia farmacologica che riabilitativa” afferma Annalisa Mandorino, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva.

Sull’effettiva gestione delle fratture da fragilità ossea e per le eventuali criticità su cui intervenire, Cittadinanzattiva ha promosso una indagine online, i cui risultati sono stati presentati oggi nel corso del XV Congresso Ortomed. L’indagine è stata rivolta, con tre diversi questionari, a cittadini, medici di famiglia e referenti regionali. Le regioni interessate sono state Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia.

Quanto ne sanno i cittadini delle fratture da fragilità
Il 67,2% dei rispondenti fra i cittadini è affetto da almeno una patologia cronica. Fra coloro, ossia il 38,7%, che hanno ricevuto informazioni sulle fratture da fragilità ossea le hanno ricevute: dal medico specialista per il 61,9%; il 33,5% dal medico di medicina generale; il 29,4% da programmi televisivi; il 28,4% da associazioni; il 25,9% da internet; 23,9% da campagne sanità regionale; tramite conoscenti il 7,1%.

Ben l’84,5% afferma che le fratture da fragilità ossea possono colpire sia donne che uomini ma principalmente a partire dai 50 anni. Il 92,9% riconosce l’osteoporosi come prima causa di fragilità delle ossa; il 53% l’età; il 49,3% essere affetti da una o più patologia cronica; il 45% assunzioni di farmaci; il 25,7% un fattore ereditario; il 17,9% il sesso.

L’82,5% di coloro che ha partecipato al monitoraggio è consapevole che è possibile prevenire, ritardare o ridurre il rischio di fratture. Come? Per l’87,4% grazie all’attività fisica; l’86,2% ritiene utile assumere vitamina D; il 71,7% segnala l’alimentazione sana come un utile alleato; il 63,8% assumere calcio; il 50,5% dice che bisogna evitare fumo e bevande alcoliche; il 31% afferma che può servire allo scopo l’assunzione di farmaci specifici; il 17,6% vede nella riabilitazione un buon contributo per prevenire, ritardare o ridurre il rischio di fratture.

Per il 77,6% dei rispondenti la riabilitazione può essere utile per migliorare la salute dell’apparato muscoloscheletrico; per il 63,7% può migliorare la qualità di vita; per il 48,9% può prevenire o limitare la disabilità; per il 40,3% può ridurre il rischio di cadute.

Cosa racconta chi ha già avuto fratture da fragilità
Il 16,3% di coloro che hanno partecipato al monitoraggio ha avuto una frattura dovuta alla fragilità ossea. Il 31,3% dei pazienti ci informa che la frattura è stata trattata al pronto soccorso; il 25,3% dei pazienti riferisce che è stata trattata al pronto soccorso e al contempo hanno programmato un ricovero per intervento; il 16,9% comunica che la frattura è stata trattata al pronto soccorso e il personale effettua/consiglia consulto con uno specialista; il 6% ha ricevuto indicazioni di rivolgersi al proprio medico per approfondimenti.

Durante la permanenza al pronto soccorso è stata prescritta una terapia farmacologica, oltre la vitamina D, per rafforzare le ossa, per il 55,4%; nessuna terapia per il 27,7% e il 16,9% ci riferisce che stava già facendo una terapia per la fragilità delle ossa. È stata prescritta una terapia riabilitativa dopo la frattura nel 57,8% dei casi, ma tutti i pazienti che hanno ottenuto tale prescrizione hanno riscontrato difficoltà burocratiche nel far attivare la riabilitazione prescritta.

Il 77% ritiene che la telemedicina è un valido strumento per restare in contatto con i medici e può ridurre gli accessi in ospedale per un paziente da considerarsi fragile.

Cosa ci riferiscono i medici di medicina generale?
A conferma dei dati, i medici di medicina generale riconoscono che le fratture da fragilità ossea costituiscono un problema di gestione sanitaria di grandi proporzioni destinato ad accrescersi sempre di più. È utile accertarsi della modalità con cui è avvenuta una frattura; ritengono che assegnare un codice specifico per la frattura da fragilità ossea al paziente, al momento della dimissione dal reparto di emergenza-urgenza o reparto ospedaliero chirurgico, possa aiutare nella gestione successiva. Il paziente deve essere indirizzato a uno specialista, soprattutto nell’ottica di un approccio multidisciplinare, con il quale occorre piena interazione.

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