Disturbo bipolare e aggressività, quale relazione. I risultati di uno studio italiano

Prof.ssa Cristina Colombo, primario del Centro Disturbi dell’Umore e Ordinario di Psichiatria all’Università Vita-Salute San Raffaele: “È stato interessante poter osservare come i sintomi tipici delle fasi maniacali, come agitazione psicomotoria e irritabilità, spesso stigmatizzati proprio perché ricondotti ad atti violenti, si sono rivelati connessi a episodi di violenza solo in una netta minoranza dei casi”

Milano, 8 aprile 2020 – A più di quarant’anni dalla Legge Basaglia, che ha permesso all’Italia di essere uno dei primi paesi in Europa e nel mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici, la malattia mentale rappresenta ancora uno dei tabù nella nostra cultura, oggetto di numerosi pregiudizi e stigma sociale. Tra questi c’è l’idea – ampiamente diffusa nella popolazione generale – che il disturbo bipolare sia associato a comportamenti violenti.

Uno studio condotto dai medici e ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e pubblicato su Journal of Psycopatology smentisce questo pregiudizio, mostrando come i rari episodi di aggressività nei pazienti bipolari siano prevalentemente concentrati nelle fasi acute di malattia e, nella quasi totalità dei casi, siano correlati a un abuso di alcool o di sostanze stupefacenti. Lo studio, coordinato dalle psichiatre Raffaella Zanardi e Cristina Colombo, professoressa ordinaria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e direttrice del Centro Disturbi dell’Umore dell’Ospedale San Raffaele Turro, mette a frutto la grande expertise del centro che conta oltre 7000 visite ambulatoriali e 650 ricoveri all’anno.

Che cos’è il disturbo bipolare
Il disturbo bipolare – che colpisce nel mondo all’incirca una-due persone su cento – è un disturbo cronico ad andamento periodico ed episodico, caratterizzato da alterazioni dell’umore che vanno da un umore depresso – contraddistinto da sensazione di tristezza, vuoto, disperazione, mancanza di energia e/o interesse per le attività abituali – a un umore elevato, rappresentato da una sensazione di benessere, euforia ed esaltazione, accompagnata da autostima esagerata.

Al centro dello spettro si colloca la condizione cosiddetta di eutimia, vale a dire un umore nei limiti della norma. A seconda dello stato in cui si trova il paziente, nonché dell’intensità dei sintomi, si possono descrivere tre diversi tipi di episodi: maniacale, depressivo maggiore e misto.

Lo studio del San Raffaele
Nello studio, i ricercatori hanno preso in considerazione 151 soggetti per un periodo di 12 mesi, focalizzando l’attenzione sia alle fasi acute di malattia sia ai periodi di benessere e cercando possibili correlazioni tra diverse co-diagnosi psichiatriche e aspetti specifici del trattamento, come la continuità e l’adesione alle cure. I comportamenti aggressivi presi in considerazione sono stati: irritabilità, aggressività verbale, aggressività contro oggetti e aggressività verso le persone.

Afferma la dottoressa Raffaella Zanardi, psichiatra del Centro Disturbi dell’Umore dell’IRCCS San Raffaele e prima autrice dello studio: “Abbiamo deciso di analizzare in modo innovativo il concetto di aggressività considerandone diverse sfaccettature e dividendo i comportamenti indubbiamente violenti verso sé e verso gli altri, da aspetti come irritabilità e agitazione che, pur non essendo comportamenti propriamente violenti, allo stesso modo contribuiscono a mantenere lo stigma sociale nei confronti dei pazienti psichiatrici”.

I risultati dello studio: la relazione tra disturbo bipolare e aggressività
Il primo dato emerso dallo studio riguarda il fatto che gli episodi di aggressività sono risultati paragonabili o inferiori alla quasi totalità di quelli registrati dai precedenti studi pubblicati sull’argomento. Stratificando il risultato per il tipo di comportamento aggressivo, è emerso come solo l’1,32% dei pazienti aveva mostrato atteggiamenti violenti verso persone, mentre negli altri casi è stata registrata violenza verso oggetti o episodi di violenza verbale.

Non solo: i ricercatori hanno osservato una drastica riduzione dei comportamenti violenti durante i lunghi periodi di benessere (dall’11,92% al 2,64%), raggiungendo in quelle fasi la stessa frequenza registrata nella popolazione generale. Continua la dottoressa Zanardi: “Abbiamo osservato come la quasi totalità degli episodi aggressivi verificatisi nei periodi di benessere fosse correlato alla presenza di una co-diagnosi psichiatrica: disturbi di personalità, disturbo da uso di alcol o abuso di sostanze”.

Considerando invece le fasi acute di malattia, è emerso anche in questo caso come la presenza di co-diagnosi, in particolare disturbo da uso di alcol o sostanze, fosse il più grande fattore di rischio per comportamenti aggressivi: non solo ne aumenta la prevalenza, ma modifica anche il rapporto tra i tipi di manifestazioni aggressive, riducendo proporzionalmente i casi irritabilità e agitazione psicomotoria, per lasciar spazio ad episodi di violenza verbale e fisica verso oggetti o verso persone.

“È stato interessante poter osservare come i sintomi tipici delle fasi maniacali, come agitazione psicomotoria e irritabilità, spesso stigmatizzati proprio perché ricondotti ad atti violenti, si sono rivelati connessi a episodi di violenza solo in una netta minoranza dei casi”, afferma la professoressa Cristina Colombo, primario del Centro Disturbi dell’Umore e Ordinario di Psichiatria all’Università Vita-Salute San Raffaele.

Un altro dato importante emerso riguarda invece i pazienti che avevano una maggiore aderenza alle visite psichiatriche e psicologiche: questo gruppo di pazienti era correlato a percentuali di comportamenti aggressivi significativamente inferiori rispetto ai soggetti meno collaborativi.

Continua la professoressa: “Resta ancora da capire se la compliance alle visite possa costituire un fattore protettivo verso agiti aggressivi, o viceversa, chi ha comportamenti violenti ha tassi di abbandono più elevati. Siamo speranzosi che i nostri risultati possano aiutare a demolire lo stigma secondo cui la diagnosi psichiatrica equivale a violenza, e che la violenza possa in questo modo essere giustificata da una malattia”.

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