Diagnosi non invasive: sensore costituito da DNA sintetico e nanoparticelle d’oro rileva target specifici

Biosensori da usare per diagnosi cliniche accurate e perfettamente biocompatibili, realizzati con piccole sequenze di DNA sintetico ripiegate su stesse: questo il risultato di una ricerca pubblicata su Nano Research. Il lavoro è il frutto di una collaborazione internazionale della durata di tre anni, che ha coinvolto l’Istituto officina dei materiali del Cnr, la Molecular Foundry di Berkeley, le Università di Nova Gorica e Graz

Roma, 9 dicembre 2019 – Un gruppo di ricerca internazionale che ha coinvolto l’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom), la Molecular Foundry di Berkeley, le Università di Nova Gorica e di Graz (Austria), dopo tre anni di studio, ha pubblicato su Nano Research, un importante risultato: possiamo costruire dei sensori costituiti di solo DNA in grado di rilevare la presenza di target specifici.

“Noi compriamo da Sigma Aldrich, un’azienda statunitense, piccole sequenze di DNA sintetico a singola elica, poi facciamo in modo che queste si leghino a un lungo filamento circolare di DNA. Così queste sequenze si ripiegano un po’ come se fossero degli origami. In questa ricerca abbiamo progettato e realizzato un tetraedro dotato di una sonda, anch’essa di DNA, che riconosce un target specifico e vi si lega. Questo legame esercita una trazione sui pilastri del tetraedro, che collassano, cambiando la configurazione della struttura. Osservando questo cambiamento, confermiamo che il target è stato trovato”, spiega Valentina Masciotti del Cnr-Iom.

Per ‘osservare’ qualcosa in questa scala di dimensioni, e vedere cambiare la forma degli origami, bisogna però trovare una strategia. È così che il gruppo di lavoro ha trovato una soluzione nanotecnologica. “Abbiamo deciso di avvalerci delle straordinarie proprietà delle nanoparticelle d’oro. Ne abbiamo attaccate due su altrettante facce del tetraedro, a una distanza prestabilita. Quando la struttura si schiaccia, in seguito al legame del target, le due nanoparticelle si avvicinano, modificando le proprietà ottiche della struttura, cioè il modo in cui essa assorbe la luce – prosegue Masciotti – Dunque basta possedere uno spettrofotometro, uno strumento diffuso nei laboratori per misurare le proprietà ottiche di un campione, per poter vedere se le nanoparticelle d’oro si sono avvicinate e quindi se si è in presenza del target cercato”.

Il sensore così progettato, costituito da DNA e nanoparticelle d’oro, risulta perfettamente biocompatibile e quindi è perfetto per essere utilizzato in diagnostica, in vitro e in vivo. Durante lo studio, sono stati eseguiti tre test in ambienti diversi che riproducono alcune caratteristiche del corpo umano: dopo aver studiato la configurazione di base del tetraedro con e senza nanoparticelle a Berkeley e a Nova Gorica, il sensore è stato provato in un ambiente liquido come il sangue sulla linea di sincrotrone Small Angle X-ray Scattering (SAXS) dell’Università di Graz al Sincrotrone Elettra di Trieste.

Al Cnr-Iom invece sono state simulate le condizioni della matrice extracellulare, misurando la risposta ottica del sensore in un reticolo gelatinoso; infine, il tetraedro è stato analizzato nell’interazione con un supporto solido che riproduce le matrici ossee del corpo umano.

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