Covid-19, verso un ceppo virale a maggiore infettività. Il virologo Perno: “Ecco come ne usciremo”

Roma, 19 gennaio 2021 – “Un virus ‘intelligente’ non uccide il suo ospite ma cerca di tenerlo in vita, perché in questo modo è in grado di replicarsi di più”. A parlare con l’agenzia Dire è il virologo Carlo Federico Perno, direttore del dipartimento di Microbiologia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che così motiva il calo della mortalità nei pazienti affetti da Covid.

Ma se da un lato diminuiscono i decessi, dall’altro aumenta il tasso dei contagiati nel nostro Paese, che ha costretto il governo ad una nuova stretta. Cosa non sta ancora funzionando?

“Purtroppo credo dipenda da vari fattori. Il primo, lo dico da virologo – risponde Perno – è che si sta selezionando, come è normale, un ceppo virale a maggiore infettività. Il virus è diventato estremamente infettivo e questo aumenta appunto il numero di infezioni, ma non è aumentato il tasso della mortalità poiché, come dicevo, un virus ‘intelligente’ non uccide il suo ‘padrone’ per poter poi essere in grado di infettare ancora. Se il virus uccidesse il suo ospite, in questo caso noi, non replicherebbe e morirebbe, al contrario batteri e funghi possono invece crescere indipendentemente da noi”.

Prof. Carlo Federico Perno

Secondo il virologo, è però improprio chiamare un virus ‘intelligente’: “In realtà è solo concetto darwiniano ed evoluzionistico – spiega Perno – dal momento che il virus seleziona lentamente quei ceppi dentro di lui che replicano sempre di più, ma se possibile riducono la mortalità. Un paziente morto è un danno per l’uomo ma anche per il virus, perché in quel morto il virus non replica più. Quindi la selezione naturale, che è quella che sta avvenendo anche con il Coronavirus, sta portando il virus a selezionare un ceppo sicuramente più infettante, perché questo è quello che serve al virus, e ad essere sicuramente meno patogeno, cioè a fare ‘meno danno’. Quello che sta accadendo è nella logica della natura”.

Il secondo aspetto sottolineato dal primario del Bambino Gesù, in merito a una diffusione ancora così ampia del virus, riguarda l’uso improprio delle mascherine. “Se tutti portassero le mascherine correttamente e uscissero dal principio che i miei amici o i miei parenti non si infettano, quindi “io con loro sto tranquillo”, i tempi di scomparsa di questo virus sarebbero più brevi – sottolinea Perno – Dobbiamo ricordare che è nelle case che avviene il numero più alto dei contagi, non a scuola: le scuole, dati alla mano, non sono veicolo di infezione”. Per il primario del Bambino Gesù, dunque, possiamo fermare questo virus “solo indossando sempre le mascherine”, perché senza dispositivi di protezione individuale “è molto difficile proteggersi”.

C’è poi però la partita, per molti decisiva, dei vaccini. “È ragionevole pensare che il combinato disposto di mascherina e vaccino, probabilmente e auspicabilmente entro la fine del 2021- dice Perno – metterà il virus nelle condizioni di non riuscire a infettare più molte persone e quindi lo stesso tenderà a rallentare la sua corsa. Tutto questo, naturalmente, con una serie di ‘se’, cioè se tutti usiamo la mascherina in modo corretto e se le vaccinazioni procederanno ad un buon ritmo come quello attuale”.

Usciremo dunque dall’emergenza non appena sarà raggiunta la famosa “immunità di gregge”, ma “quando sarà vaccinato un terzo della popolazione – sottolinea il virologo – il virus avrà già qualche difficoltà a circolare. A questo dobbiamo aggiungere che alcuni milioni di italiani hanno già contratto il Covid e, anche se non ne abbiamo la certezza, possiamo ritenere auspicabilmente che siano già protetti”

Per essere più chiaro Perno usa quindi una metafora: “Diciamo che il virus sta lentamente entrando nella camera finale della tonnara, ma è chiaro che se non ci vacciniamo la strada per raggiungere questa camera sarà ancora molto lunga e farà ancora tanti morti. La vaccinazione, in questo senso, accelera sicuramente il virus verso la camera finale della tonnara, dove alla fine i tonni vengono tirati su e portati sulle nostre tavole”.

I vaccini ostacoleranno così il virus nella sua capacità di replicarsi e “gli renderanno più difficile selezionarsi verso un ceppo maggiormente infettante. Ricordiamo sempre – spiega il virologo – che un virus muta e diventa più patogeno solo se replica, ma se non replica non muta. Quindi con il vaccino blocchiamo il passaggio da persona a persona e, di fatto, anche la capacità del virus di variare e di diventare quindi più difficile da gestire”.

Intanto abbiamo un numero di vaccini in sperimentazione molto ampio e “questo non è mai accaduto nella storia dell’umanità. A fronte di una malattia diagnosticata per la prima volta il 30 dicembre 2019, a distanza di un anno, abbiamo già cominciato a vaccinare in maniera efficace – racconta Perno – L’Italia ha opzionato sei vaccini e due di questi, Pfizer e Moderna, di fatto sono già disponibili”.

Il vaccino AstraZeneca è stato “rallentato perché l’efficacia non è chiara – prosegue il virologo – non nel senso che non funzioni, ma che a seconda del dosaggio del vaccino utilizzato i risultati sono diversi. Per questo l’EMA, giustamente, ha chiesto un supplemento d’indagine, per capire se stiamo generando cittadini di ‘serie A’ o cittadini di ‘serie B’, mentre noi dobbiamo cercare di offrire a tutti una efficacia e una tollerabilità simile. Poi ci sono altri tre vaccini (Curevac, Johnson & Johnson e Sanofi e GSK) che sono leggermente indietro ma comunque in fase in avanzata, che dovrebbero arrivare entro sei mesi e che ci aiuteranno a completare le famose 202 milioni di dosi che l’Italia ha opzionato o acquistato per coprire la popolazione italiana”. Quanto a Reithera, vaccino tutto italiano, è in una fase “arretrata, ma come è ovvio – dice Perno – essendo la sperimentazione partita tardi; fa parte degli oltre 40 vaccini che si trovano in una fase I molto precoce”.

In linea generale in Italia la vaccinazione procede “molto spedita e non sono stati segnalati effetti collaterali di rilievo, tanto è vero – fa sapere il primario del Bambino Gesù – che nessuna situazione ha richiesto uno stop per verificare che cosa stava succedendo. Sono state segnalate solo cose di poco conto, cioè alcuni effetti collaterali nella norma e tipici dei vaccini. Abbiamo dei vaccini che hanno mediamente un’efficacia al 95%, quindi altissima”.

C’è al momento soltanto un limite, dato dal fatto che nessuno sa quanto durerà la protezione. “Ma sulla protezione nel breve termine – rassicura l’esperto – i dati della letteratura sono incontrovertibili e noi dobbiamo fare affidamento ai dati scientifici pubblicati. I lanci di stampa, lo dico senza polemica, non ci interessano perché non ci permettono di evidenziare la credibilità del dato e non dovrebbero guidare le scelte di sanità pubblica. Per il resto, ci vuole il tempo di osservare. Questi vaccini sono stati approvati con una procedura senza eguali nella storia, senza avere i risultati a medio/lungo termine, quindi ‘ex post’, come diciamo, cioè ‘a valle’ delle vaccinazioni, ed è previsto un rigoroso sistema di valutazione della risposta anticorpale”.

Una quota significativa di persone vaccinate, quindi, saranno monitorate per valutare se il vaccino ha prodotto un titolo anticorpale sufficientemente protettivo. “Questo ci dirà più o meno quanto potrebbe durare la protezione – dice Perno – ma ciò richiede almeno sei mesi”.

Secondo il virologo, intanto, non necessariamente dovremmo vaccinarci contro il Covid ogni anno. “Ci sono vaccini, come l’antimorbillo, che funzionano anche se iniettati una solo volta nella vita, mentre altri invece non funzionano, pensiamo a quello dell’HIV e dell’epatite C. Dove si posizioni quello del Covid ancora non lo sappiamo – dice Perno – è possibile che la schedula vaccinale attuale di due dosi possa coprirci tutta la vita. Personalmente non ne sono convinto, ma è un’ipotesi. Sicuramente il vaccino contro il Covid non sarà tutti gli anni come quello dell’influenza, perché come sappiamo ogni anno il virus dell’influenza cambia e ha bisogno sempre di un nuovo vaccino”.

E a proposito di influenza, quest’anno i dati parlano di un drastico calo. La mascherina sta portando i suoi frutti anche per i virus respiratori? “Più che di calo, parlerei di una scomparsa dell’influenza – risponde Perno – nel mio ospedale, almeno, quest’anno non ricordo un solo caso di influenza, non abbiano avuto una casistica di virus respiratori, nonostante siamo in piena stagione influenzale. Il virus influenzale, come i Coronavirus, infettano solo per via respiratoria, quindi se io tengo la mascherina il virus influenzale non infetta e non entra nel sistema. Il SARS-CoV-2 è più infettante del virus influenzale, per cui proteggendomi dal Covid di fatto mi proteggo anche da tutti i virus respiratori”.

Eppure il rischio effettivo, temuto da molti, era che quest’anno i casi di Covid, sommandosi a quelli dell’influenza, avrebbero prodotto un collasso del Servizio sanitario nazionale… “È vero. Alcune aziende diagnostiche, facendo male I calcoli, avevano persino preparato dei kit diagnostici influenza-SARS-CoV-2, pensando che quest’anno i due virus si sarebbero sommati gettando nel panico il servizio sanitario – risponde ancora Perno – Ma queste aziende non avevano considerato il fatto che, grazie alle mascherine, il virus dell’influenza quest’anno girerà, come sta facendo, pochissimo. La mascherina ci ha davvero salvato da una esplosione del Covid, senza la mascherina avremmo avuto un’infezione massiva di tutta Italia – conclude il virologo – questo lo possiamo dire con certezza assoluta”.

(fonte: Agenzia Dire)

Salva come PDF
Le informazioni presenti nel sito devono servire a migliorare, e non a sostituire, il rapporto medico-paziente. In nessun caso sostituiscono la consulenza medica specialistica. Ricordiamo a tutti i pazienti visitatori che in caso di disturbi e/o malattie è sempre necessario rivolgersi al proprio medico di base o allo specialista.

Potrebbe anche interessarti...