Controllo del decadimento cognitivo, miniscosse non invasive per migliorare la riabilitazione

Intervista a Lorella Battelli, esperta di riabilitazione cognitiva dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Trento e affiliata alla Università di Harvard

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Cos’è la riabilitazione cognitiva, a cosa serve?
La riabilitazione cognitiva è un intervento di tipo comportamentale volto a ristabilire funzioni cognitive compromesse quali il linguaggio, l’attenzione, la memoria. È indicata nei casi di lesioni corticali acquisite in seguito a ictus, infarto cerebrale, o lesioni conseguenti a trauma. Nella pratica comune sono i logopedisti e/o fisioterapisti a svolgere questa mansione. Le terapie riabilitative specifiche, mirate e sperimentali, vengono al momento fatte solo da ricercatori esperti e vengono sottoposte ai comitati etici che esprimono un parere. Una volta valutati i criteri di sicurezza e fattibilità, la sperimentazione viene autorizzata.

Il nostro lavoro rientra in quest’ultimo caso, con  procedure più recenti per supportare le funzioni cognitive in età avanzata, anche in assenza di una lesione corticale. I ricercatori stanno lavorando per mettere a punto nuove strategie per supportare il normale funzionamento e ritardare o evitare il decadimento cognitivo. In questo caso non si parla però di riabilitazione classica, ma di esercizi mirati al mantenimento del ‘benessere’ cognitivo. Visto che viviamo sempre più a lungo, mai come ora vi è la necessità di cercare di mantenere un sistema cognitivo sano.

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Dott.ssa Lorella Battelli

Quali sono le tecniche di questo tipo di riabilitazione?
Le tecniche sono soprattutto di tipo comportamentale con il supporto di alcuni strumenti. Le prime si avvalgono della presentazione di stimoli solitamente visivi al soggetto, sulle quali il soggetto deve esprimere un giudizio. Ad esempio, se si vuole cercare di lavorare sulla memoria visiva, si presentano degli stimoli visivi da ricordare, oppure se si lavora sulle funzioni attentive o le capacità esecutive si chiede al soggetto di rispondere il più velocemente possibile a stimoli presentati in diverse posizioni del campo visivo (questo per lavorare sulla capacità di orientamento dell’attenzione visiva nello spazio). Vi sono poi le tecniche più classiche con supporto di test cartacei, che vengono tipicamente utilizzate per la riabilitazione del linguaggio.

Quali sono gli strumenti?
La riabilitazione si avvale di supporti informatici che vengono solitamente utilizzati per presentare stimoli visivi o/e uditivi ai soggetti ai quali è richiesto di rispondere premendo dei pulsanti sulla tastiera o con risposte vocali. Questo, per quanto riguarda le tecniche classiche. Il lavoro che facciamo noi è un po’ diverso e prevede l’uso di strumenti informatici con la sollecitazione corticale mediante tecniche di stimolazione corticale non invasiva. Si utilizzano la stimolazione transcranica magnetica e la stimolazione a correnti dirette. Queste tecniche di stimolazione vengono associate all’esercizio riabilitativo per potenziare il recupero e accorciare i tempi di riabilitazione.

Quali sono le novità in questo ambito?
Le novità nascono soprattutto dalla necessità di avere un approccio sempre più personalizzato. Una sorta di “medicina di precisione” delle funzioni cognitive. Così come ciascun individuo risponde in modo diverso ai farmaci, lo stesso principio si può applicare alle risposte comportamentali. Si è visto infatti che vi è una grande variabilità tra come i pazienti rispondono alla riabilitazione rispetto alle valutazioni di base. La dimensione o tipologia della lesione corticale può dare indicazioni importanti, ma non sempre sono predittive di come il soggetto risponderà agli stimoli comportamentali. Molto dipende anche da altri fattori quali livello di scolarità, di attività fisica e abilità cognitive precedenti agli eventi traumatici.

Nell’ambito delle neuroscienze cognitive della visione e dell’attenzione troviamo spesso grandi differenze nelle risposte alle nostre procedure sperimentali. Pertanto uno strumento riabilitativo uguale per tutti non è sufficientemente sensibile ad individuare i punti deboli, i deficit magari lievi ma invalidanti. Noi utilizziamo pertanto degli strumenti cosiddetti adattivi, ovvero misuriamo in modo molto preciso per ciascun paziente la capacità di base e su quella lavoriamo per cercare di incrementare le presentazioni. In tal modo non verranno utilizzate procedure troppo semplici e quindi inutili per il paziente, ma nemmeno troppo difficili e impossibili da svolgere. La novità è quindi nell’uso di tecniche di stimolazione non invasiva associate all’esercizio cognitivo adattato per ogni paziente. Studi recenti hanno dimostrato che con queste nuove tecniche è possibile ridurre drasticamente di tempi di recupero. Il nostro lavoro è stato pubblicato su The Journal of Neuroscience.

Quali sono le nuove sfide e le criticità della riabilitazione cognitiva?
La maggior parte de lavora sul recupero fisioterapico (emiparesi, etc) e logopedico. Meno diffuse le tecniche per la riabilitazione dell’attenzione e un grande capitolo riguarda anche la memoria, dove studi recentissimi (Rob Reinhart, Boston University) hanno dimostrato che l’applicazione della stimolazione corticale può incrementare le capacità mnestiche in soggetti sani anziani, e farla diventare come quella di soggetti giovani. Questo risultato può aprire nuove porte anche per il controllo del decadimento cognitivo nei pazienti con Alzheimer. L’aspetto critico della riabilitazione è quindi proprio quello di andare sempre più verso un approccio personalizzato, che permette di ridurre i tempi di riabilitazione e, soprattutto, migliorarne i risultati.

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