Chirurgia: modello ‘a semaforo’, nuovo protocollo italiano esportato negli Stati Uniti

Il nostro sistema sanitario si sta adeguando più velocemente del virus alle esigenze di tutti. Intervista al prof. Vincenzo Mazzaferro, ordinario di Chirurgia all’Università degli Studi di Milano e direttore di Chirurgia dell’apparato digerente all’Istituto Nazionale Tumori

Roma, 6 maggio 2020 – La ricerca e la cura delle malattie vanno avanti, Covid a parte. I big killer del nostro tempo, tra cui i tumori, non aspettano l’estinzione della pandemia. All’Istituto Nazionale tumori (INT) di Milano non solo le operazioni, soprattutto le più urgenti vanno avanti, ma gli scienziati hanno messo a punto dei lavori che sono stati mutuati poi in modelli pratici da applicare ‘come un semaforo’ e individuare le operazioni chirurgiche prioritarie ed evitare ritardi. Il modello sposato da Regione Lombardia è stato così apprezzato dagli Stati Uniti da essere stato esportato anche lì.

A raccontare tutto questo all’agenzia di stampa Dire è Vincenzo Mazzaferro, ordinario di Chirurgia all’Università degli Studi di Milano e direttore di Chirurgia dell’apparato digerente all’INT.

Gli interventi e i trapianti non aspettano. All’INT l’attività, infatti, anche nei momenti più critici non si è fermata. Come il suo reparto si è organizzato per potere proseguire le attività nonostante l’emergenza?

“L’Istituto Nazionale Tumori è uno dei pochi ospedali milanesi a basso tasso di infezione da Covid. Questo è dovuto a diverse circostanze. Il più importante è che i pazienti oncologici sono in genere sottoposti adoperazioni d’elezione e non in urgenza, lasciando quindi ai medici di capire per tempo l’eventuale presenza del virus. Nei pazienti con tumore, alcuni possono avere anche il Covid, ma ovviamente non tutti.

Prof. Vincenzo Mazzaferro

Nel suo complesso l’Istituto dei Tumori, anche grazie a protocolli e percorsi prestabiliti, si è organizzato bene e riesce a controllare al massimo il tasso d’infezione. Le nostre sale operatorie e i nostri ambulatori hanno sempre funzionato in sicurezza anche nei giorni peggiori. L’attività che pure è frenetica, prosegue sempre però con la massima attenzione ai pazienti con tumori. È noto che i pazienti con malattie non-Covid, come quelli oncologici, sono pazienti che in questo periodo di emergenza sono stati penalizzati.

L’impegno gigantesco profuso nella gestione dell’emergenza Covid ha reso quindi più difficile gestire i pazienti non-Covid e ha allungato le liste di attesa un po’ ovunque, soprattutto per gli interventi chirurgici. Noi dell’INT abbiamo codificato per Regione Lombardia, in collaborazione con i colleghi dell’Ospedale Sacco e Humanitas, le priorità da dare ai pazienti con cancro e con necessità di un intervento chirurgico.

Questo lavoro su ‘Come decidere sugli interventi chirurgici in epoca Covid’, è stato pubblicato sulla rivista Annals of Surgery, che è l’organo ufficiale dell’European e dell’American Surgical Association. Nel lavoro descriviamo una scala di priorità precise che segue una sorta di ‘modello a semaforo’ legato a ciò che è più o meno urgente. Seguendolo è possibile stabile facilmente se un paziente è rinviabile o indifferibile: un vero e proprio protocollo applicabile da tutte le chirurgie che vedono pazienti con tumore.

Siamo molto contenti che dalla Regione Lombardia il nostro metodo di lavoro si sia diffuso ora in tutto il mondo e soprattutto negli Stati Uniti, che ci hanno seguito nell’epidemia ma ampiamente superato sulla dimensione del problema della allocazione di risorse per i pazienti oncologici in epoca Covid”.

Un paziente oncologico e trapiantato corre rischi maggiori in caso di positività? A questo proposito ci racconta cosa è emerso da un suo recente studio pubblicato su Lancet?

“Lancet ha pubblicato un altro nostro studio realizzato osservando la popolazione dei nostri pazienti trapiantati di fegato a causa di un tumore. Abbiamo notato che i pazienti trapiantati di fegato non rischiavano un peggioramento delle loro condizioni in caso di positività al Covid perché immunodepressi, ma quando piuttosto erano affetti da malattie metaboliche a loro volta spesso correlate all’eccessivo ‘benessere’ riconquistato dopo il trapianto. In effetti, più tempo passa dal trapianto e più il paziente trapiantato tende ad ingrassare e a muoversi meno e ciò comporta grandi rischi anche in caso di infezione da Coronavirus. Spesso osserviamo che più ci si sente guariti più ci si rilassa e si perde l’attenzione a non guadagnare peso,fare attività fisica, alimentarsi in modo sano, non bere alcolici etc.

I pazienti trapiantati che si sono infragiliti e non hanno ben rispettato le norme del vivere sano sono diventati a maggiore rischio di contrarre la forma grave dell’infezione da Covid. Se una persona è moderatamente immunodepressa, come nel caso del trapiantato, con farmaci che tengono sotto controllo il sistema immunitario per evitare il rigetto, il paziente è invece più protetto. Contrariamente a quello che si può pensare, l’immunosoppressione può anzi proteggere dalle reazioni severe al virus che l’organismo mette in atto e spesso portano alle note polmoniti interstiziali da Coronovirus.

Queste condizioni molto gravi di espressione della malattia sono infatti legate anche alla risposta immunitaria esagerata dell’organismo contro il virus, che nei pazienti più gravi vengono definite come vere e proprie ‘tempeste immunitarie’.

La immunosopressione del paziente trapiantato di per sé non è quindi un fattore di rischio, ma anzi forse è un piccolo fattore di protezione. I pazienti trapiantati devono fare più attenzione degli altri a non sviluppare le cosiddette ‘malattie del benessere’ che in loro fanno molto più danno che nella popolazione generale”.

Bisognerà convivere per altro tempo con questo virus come immagina questa fase 2 a livello di organizzazione sanitaria? Se le Regioni dove il virus circola meno si chiudono al Nord più colpito, potranno essere assicurate ugualmente le cure a tutti i pazienti che si spostano per interventi verso Istituti come il vostro?

“Presso il nostro Istituto, ma anche in molti altri Centri sanitari di eccellenza del Nord Italia, si è continuato a lavorare a pieno regime anche in questo periodo di emergenza. Da decenni l’Istituto accoglie molti pazienti provenienti dal Sud Italia, che hanno trovato qui la risposta di cura alle loro problematiche oncologiche. Da medico posso dire che ciò continua anche oggi, forse con ancor maggiore impegno che nel passato.

Se il paziente riesce a curarsi vicino casa è ovviamente un bene, ma se il motivo di non venire a Milano per curare al meglio un tumore è la paura di contrarre qui il Covid, davvero si commette un grave errore di valutazione. Ribadisco, non c’è ragione di avere paura di un virus se il ricorso alle cure per un tumore è necessario e comunque non c’è rischio quando ci si rivolge a strutture rese sicure da protocolli precisi e controllati.

Nessun malato oncologico è operato senza seguire dei protocolli di sicurezza che garantiscono la massima attenzione possibile a questa problematica. Prima delle operazioni i pazienti sono screenati e sottoposti a tampone. Noi come medici siamo impegnati con molti altri specialisti e con tutte le nostre forze per curare i nostri pazienti al fine di trovare cure sempre più efficaci, con o senza Covid”.

Molte Company lavorano in questo momento a più vaccini. Qualcuna promette di essere pronta a breve, questo cosa rappresenterebbe per i pazienti con patologie pregresse e immunodepressi?

“Faccio il chirurgo e l’oncologo e aspetto, come molti altri non-specialisti, qualche buona notizia da coloro che in tutto il mondo lavorano full-time alla preparazione di un vaccino sicuro. Spero che in Italia si trovino forme di convergenza su progetti di ricerca solidi sia dal punto di vista epidemiologico che statistico che di orientamento clinico, per dare risposte credibili alle necessità di medici e operatori, evitando dispersioni e protagonismi senza costrutto.

Vanno incentivati percorsi condivisi; le differenze tra regioni e tra specialisti non dovrebbero esserci. Anche se la scienza ha diverse rappresentazioni di pensiero e sempre ipotesi nuove e anche se l’eterogeneità delle idee in medicina è molto importante, per pandemie di questo volume bisogna assolutamente convergere su orizzonti comuni per dare alla collettività risposte concrete e fornite di senso pratico.

Credo che lo studio sui trapiantati sia un esempio che si può percorrere anche in altri ambiti. Da sempre il medico deve mediare tra l’occuparsi del singolo suo paziente, con la sua assoluta specificità e l’osservare le questioni e le raccomandazioni che riguardano la collettività, nell’eterno sforzo di trovare per ogni sua azione un bilancio tra rischi (o tra costi) e benefici.

Questa epidemia ci porta ancora più a vedere e a riflettere su queste due facce del lavoro del medico e dello scienziato. Ripeto comunque che in questi tempi difficili deve essere fatto ogni sforzo per trovare maggiore convergenza in tutti settori, anche e soprattutto in medicina e in ricerca.

Vorrei infine trasmettere il messaggio tranquillizzante che il sistema sanitario si sta adeguando più velocemente del virus alle esigenze di tutti e che la medicina e la ricerca non dimentica che i big killer della nostra gente sono ancora le malattie cardiovascolari, quelle neurologiche e i tumori. Su queste aree l’impegno clinico e l’attenzione non diminuiranno a dispetto di ogni evento intercorrente”.

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