Cancro al colon: scoperto il ‘guardiano’ proteico che blocca l’efficacia della chemioterapia
La ricerca, condotta dall’IRCCS di Candiolo e finanziata dalla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro e dal programma 5X1000 AIRC, ha come obiettivo indirizzare da subito i pazienti verso cure alternative
Torino, 29 settembre 2025 – La chemioterapia rappresenta il trattamento standard per la maggior parte dei pazienti con tumori del colon metastatici non operabili, ma solo circa la metà risponde, lasciando l’altra metà esposta a una terapia inefficace e agli effetti collaterali.
Per capire le ragioni di questa resistenza, i ricercatori dell’Istituto di Candiolo – IRCCS hanno utilizzato organoidi tumorali, repliche tridimensionali in miniatura ottenute da campioni di pazienti. Il gruppo di lavoro è stato coordinato da Livio Trusolino e Andrea Bertotti, responsabili del Laboratorio di Oncologia Traslazionale dell’IRCCS di Candiolo e professori ordinari di Istologia presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino.
In uno studio appena pubblicato sulla rivista Cancer Discovery, gli scienziati hanno identificato una proteina – RAD51 – che, se espressa ad alti livelli, predice la resistenza alla chemioterapia standard. La scoperta ha un duplice valore: consente di riconoscere in anticipo i pazienti che difficilmente risponderanno al trattamento e apre la strada a strategie terapeutiche alternative.
“Ci siamo concentrati sul FOLFIRI, un trattamento chemioterapico che quasi tutti i pazienti ricevono durante il percorso clinico – spiega Marco Avolio, assistente post-dottorato che ha eseguito i saggi sugli organoidi – La prima osservazione è stata che gli organoidi sensibili subivano un forte danno al DNA dopo esposizione al FOLFIRI, mentre in quelli resistenti il DNA appariva sostanzialmente intatto: un indizio che suggeriva che la resistenza fosse legata a un’alta capacità di riparazione delle lesioni alla struttura del DNA provocate dalla chemioterapia”.
Dopo un’analisi sistematica delle proteine coinvolte nei meccanismi di riparazione, la svolta è arrivata con RAD51. “Era chiaramente più espresso negli organoidi resistenti – racconta Simonetta Leto, ricercatrice senior – Inserendolo artificialmente nei modelli sensibili, questi diventavano resistenti. Avevamo trovato un marcatore funzionale di resistenza”.
Il passo successivo è stato verificarne il valore clinico. Con lo studio multicentrico IRIS, che ha coinvolto circa 80 pazienti italiani e spagnoli, i ricercatori hanno dimostrato che livelli elevati di RAD51 si associano sistematicamente alla mancata risposta a FOLFIRI non solo nei modelli sperimentali, ma anche nei pazienti. “Il marcatore è facilmente misurabile su campioni diagnostici di routine – sottolinea Bertotti – e può aiutare a selezionare precocemente i pazienti candidabili a terapie diverse dalla chemioterapia standard”.
Ma non finisce qui. Se RAD51 rende i tumori resistenti, la sua inibizione potrebbe risensibilizzarli al FOLFIRI. “Abbiamo testato diversi approcci – spiega Trusolino – Il blocco diretto di RAD51 non è clinicamente praticabile, ma un’alternativa si è rivelata molto promettente: inibire ATM, una proteina che controlla a monte la funzione di RAD51. Nei nostri modelli, l’associazione di un inibitore di ATM con FOLFIRI ha ristabilito una importante efficacia terapeutica. E la buona notizia è che farmaci contro ATM sono già in sperimentazione clinica. Adesso che la pubblicazione è uscita ed è all’attenzione della comunità scientifica, stiamo iniziando a scaldare i motori con i nostri collaboratori dell’oncologia clinica per contattare le case farmaceutiche che producono gli inibitori di ATM e coinvolgerle nel disegno di uno studio ad hoc”.
La ricerca, condotta in collaborazione con l’Unità di Anatomia Patologica diretta da Caterina Marchiò e con la Divisione di Chirurgia Oncologica diretta da Felice Borghi all’Istituto di Candiolo, ha coinvolto partner nazionali e internazionali. L’analisi dei campioni clinici di IRIS è stata coordinata da Silvia Marsoni dell’IFOM di Milano e da Salvatore Siena del Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, e ha visto la partecipazione del Vall d’Hebron e dell’Hospital del Mar di Barcellona e dell’INCLIVA di Valencia. La ricerca è stata finanziata dalla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro che sostiene le attività di cura e ricerca sui tumori dell’Istituto di Candiolo e dal programma 5X1000 AIRC.




