Assemblea delle professioni sanitarie e sociali, FNOPI: “L’assistenza del futuro è nell’infermieristica”

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Roma, 25 febbraio 2019 – “Quella dell’infermiere è la professione più vicina al paziente che segue 24 ore su 24 sia in ricovero che a domicilio. Ma non allo stesso modo in tutte le Regioni”, sottolinea all’assemblea di tutte le professioni sanitarie e sociali che si è svolta Roma Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, il maggior Ordine italiano con oltre 450mila iscritti.

“Due dati per comprendere – aggiunge – il rapporto infermieri pazienti che studi internazionali indicano come ottimale per abbattere la mortalità del 20% è di 1:6. In Italia abbiamo Regioni che sono a 1:17 (la Campania ad esempio) e altre a 1:8 come il Friuli-Venezia Giulia. La carenza di infermieri, soprattutto sul territorio e quindi accanto ai più fragili e bisognosi di assistenza continua (malati cronici, anziani, non autosufficienti ecc.) è di circa 50-53mila unità, ma ci sono Regioni dove i numeri potrebbero considerarsi a posto (ad esempio Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ecc.) e Regioni dove invece l’assenza di organici è pesante e mette l’assistenza a rischio (in Campania sono circa il 48% in meno di quelli che sarebbero necessari, raggiungono il 55% in meno in Calabria e il 56% in Sicilia)”.

“In questo modo – prosegue – anche l’introduzione della figura innovativa dell’infermiere di famiglia e comunità a fianco del medico di medicina generale – voluta fortemente anche dai cittadini – non può essere omogenea: al Nord infatti ci sono già esperienze e modelli affermati, al Sud gli infermieri sono troppo pochi anche solo per assistere i pazienti in ricovero, figuriamoci sul territorio”.

Secondo i dati Eurostat, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea, una Direzione Generale della Commissione europea, che collabora a stretto contatto anche con Onu e Ocse, l’Italia nel 2016 aveva 557 infermieri ogni 100.000 abitanti (negli anni successivi sono diminuiti), mentre sei Paesi dell’Ue 28 tra cui i maggiori partner come Germania e Francia, superavano i mille (dai 1.172 del Lussemburgo ai 1.019 della Francia) e altre sette, tra cui anche il Regno Unito, erano comunque tra i 981 infermieri per 100.000 abitanti della Danimarca e i 610 dell’Estonia.

Anche volendo solo raggiungere il livello medio di questi Paesi, in Italia mancherebbero tra i 50 e i 60mila infermieri. Per farlo ci si dovrebbe adeguare all’Europa, prevedendo più infermieri in formazione e occupazione, con evidenti progressi nell’eliminazione della carenza globale entro il 2030.

La Commissione europea sottolinea che tutti i piani nazionali per la realizzazione della copertura sanitaria universale formulano proposte specifiche per migliorare e sviluppare il ruolo degli infermieri come professionisti della salute più vicini alla comunità; almeno il 75% dei paesi ha un infermiere con responsabilità di alta gestione in materia di salute; quel che serve è una rete globale di leadership infermieristica.

Mangiacavalli fa anche riferimento alla diversa epidemiologia della popolazione: le malattie croniche l’anno scorso – secondo i dati Istat da poco evidenziati nel rapporto Osservasalute – hanno interessato quasi il 40% della popolazione, cioè 24 milioni di italiani dei quali 12,5 milioni hanno multi-cronicità. Le proiezioni della cronicità indicano che tra 10 anni, nel 2028, il numero di malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni.

Attualmente infatti nel nostro Paese si stima che si spendono, complessivamente, circa 66,7 miliardi per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di euro.

E le cronicità si acuiscono anche secondo le aree geografiche. La prevalenza più elevata di almeno una malattica cronica si registra in Liguria con il 45,1% della popolazione. I Comuni sotto i 2.000 abitanti sono quelli con la quota più elevata di cronicità, quasi il 45%, mentre nelle periferie delle città Metropolitane si riscontra la quota più elevata di persone che soffrono di malattie allergiche, il 12,2% della popolazione residente.

“Anche per questo gli infermieri vogliono dare un contributo ancora maggiore al miglioramento della salute. Nel XXI secolo – conclude Mangiacavalli – vedremo più comunità e servizi a domicilio, una migliore tecnologia e la cura centrata sulla persona: gli infermieri saranno in prima linea in questi cambiamenti e per questo devono imparare a essere leader perché tutte queste qualità le hanno già sviluppate e fanno parte della loro vocazione e della loro professionalità: una nuova epidemiologia richiede nuovi modelli di assistenza e, per questi, c’è già il nuovo infermiere che deve essere specializzato e presente h24 sul territorio. Ma deve essere disponibile ovunque e in tutte le Regioni senza carenze e in modo omogeneo”.

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