Tumore della prostata, 37.000 nuovi casi ogni anno in Italia. Numerose le opzioni terapeutiche

Dott. Ottavio De Cobelli, Direttore del Programma Prostata IEO: “Se identificato e trattato per tempo, il tumore della prostata ha una guaribilità altissima che sfiora il 90%”

Milano, 20 febbraio 2020 – Europa uomo, il movimento europeo nato in Italia per sensibilizzare e informare la popolazione sulle tematiche delle patologie prostatiche, insieme all’Istituto Europeo di Oncologia, organizza il 21 febbraio il primo incontro aperto a pazienti, familiari e al pubblico sul tema “Pazienti e medici uniti nella buona informazione”. L’obiettivo è diffondere l’importanza di condividere le informazioni sul prima, durante e il dopo di un tumore della prostata, superando le barriere culturali che ancora oggi impediscono all’uomo di parlare apertamente di questa malattia.

Eppure non si tratta di un problema raro: il cancro della prostata è il primo tumore diagnosticato nella popolazione maschile (19% dei tumori nel maschio) con 37.000 nuovi casi ogni anno in Italia, dove complessivamente 471.000 uomini convivono con una diagnosi di carcinoma prostatico. Molti di loro affrontano gli effetti collaterali dei trattamenti in solitudine: argomenti delicati e fondamentali per il benessere della persona, come la disfunzione erettile o l’incontinenza, spesso non vengono affrontati né con il medico né con la partner, dando per scontato che non esitano soluzioni migliorative.

“Se identificato e trattato per tempo, il tumore della prostata ha una guaribilità altissima che sfiora il 90% – dichiara Ottavio De Cobelli, Direttore del Programma Prostata IEO – Tuttavia non bisogna ignorare che i trattamenti possono avere un impatto importante sulla qualità di vita, in particolare sulla continenza urinaria e la potenza sessuale, e di conseguenza sulla sfera psicologica della persona nel suo insieme. Noi ci siamo impegnati a conoscere nei dettagli questo impatto, per poterlo ridurre in modo mirato, paziente per paziente. Abbiamo misurato gli esiti funzionali e psicologici di centinaia di pazienti (oltre 600) operati di prostatectomia radicale, per un anno dopo la dimissione chiedendo a ognuno di loro di valutare sia gli eventuali disturbi organicistici (come la continenza, la potenza sessuale, le irritazioni e così via) che il loro vissuto del post-intervento. Ora conosciamo in modo scientifico i diversi fattori che influenzano la qualità di vita dopo una prostatectomia e la nostra sfida è impostare il processo di cura in modo che le probabilità di controllare questi fattori siano le più alte possibili”.

“Oggi l’approccio al paziente oncologico è multidisciplinare – commenta Barbara Jereczek, Direttore della Radioterapia IEO – Esistono numerose opzioni terapeutiche: la scelta dipende dalla singola situazione clinica (stadio di neoplasia, malattie concomitanti ecc.) e preferenze del paziente. Per esempio, nei pazienti con neoplasia non metastatica, la radioterapia a fasci esterni costituisce una valida opzione terapeutica, non invasiva, indolore e selettiva. Inoltre, i notevoli sviluppi tecnologici delle attuali tecniche radioterapiche ci consentono di effettuare un trattamento ablativo in 5 sedute offrendo un ottimo controllo locale di malattia con un accettabile profilo di tossicità. Nei casi più avanzati vengono proposti trattamenti multimodali, mentre in alcuni casi di bassa aggressività si esegue solo il monitoraggio. È fondamentale la comunicazione fra il paziente e il medico per garantire una decisione terapeutica basata sulla piena comprensione dei potenziali rischi e dei benefici di ogni opzione terapeutica”.

Il team multidisciplinare IEO è rappresentato all’incontro anche da Gabriella Pravettoni, Direttore della Psicologia e Franco Nolè, Direttore dell’oncologia medica urogenitale e cervico-facciale.

“Per cambiare il volto del tumore alla prostata abbiamo bisogno della partecipazione attiva non solo dei pazienti, ma di tutta della popolazione maschile – conclude De Cobelli – È fondamentale andare dall’urologo, anche se non si avverte il minimo disturbo, a 50 anni, o a 45 se si ha familiarità”.

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