Campi Flegrei Deep Drilling Project. Primi risultati dal pozzo di Bagnoli

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Ricostruzione dei limiti della caldera Flegrea. La linea gialla spessa e la zona ombreggiata viola, in corrispondenza della collina di Posillipo, rappresentano il limite della caldera del Tufo Giallo Napoletano e dell’Ignimbrite Campana, rispettivamente, come ricavate in questo studio

Roma, 6 dicembre 2016 – Uno studio stratigrafico nel pozzo del progetto “Campi Flegrei Deep Drilling Project” (CFDDP) ha permesso di ricostruire l’evoluzione dell’attività eruttiva nel settore orientale dei Campi Flegrei, avvenuta in ambienti talvolta subaerei e talvolta sottomarini, fino a circa 47.000 anni fa. È quanto emerge dai primi risultati sullo studio della stratigrafia del pozzo di Bagnoli realizzato dall’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (OV-INGV), pubblicato sulla rivista ‘Geochemistry, Geophysics, Geosystems’ dell’American Geophysical Union.

L’articolo, dal titolo ‘The Campi Flegrei Deep Drilling Project (CFDDP): New insight on caldera structure, evolution and hazard implications for the Naples area (Southern Italy)’, descrive la stratigrafia completa del pozzo (profondo 501 metri e localizzato a Bagnoli a ridosso della collina di Posillipo) e le analisi effettuate sui campioni di roccia estratti, in particolare le datazioni assolute con metodi radioattivi.

“Questo studio stratigrafico – spiega Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca OV-INGV e coordinatore del progetto – ha permesso di ricostruire, nel tempo, l’evoluzione dell’attività eruttiva in questo settore della caldera, fino a circa 47.000 anni fa. Le informazioni più importanti sono state ricavate dal rinvenimento nel pozzo dei prodotti delle due eruzioni principali che si pensa abbiano formato la caldera: l’Ignimbrite Campana, di 39.000 anni fa, e il Tufo Giallo Napoletano, di 15.000 anni fa”.

La posizione stratigrafica dei prodotti di queste due super-eruzioni, la notevole superficialità alla quale sono rinvenuti ed il loro limitato spessore, pongono forti vincoli sulla definizione dei limiti della caldera e sui meccanismi che hanno determinato sia il suo collasso durante le eruzioni più esplosive che le ampie deformazioni lente del suolo durante la sua lunga dinamica. La caldera è infatti sede di deformazioni lente del suolo, il cosiddetto “bradisisma”, ben noto per le epoche recenti. Lo studio delle sequenze di rocce nella perforazione permette anche di indagare la dinamica del suolo più antica.

In particolare, aggiunge De Natale, “mentre sino ad oggi la quasi totalità della letteratura scientifica ipotizzava che la caldera dell’Ignimbrite Campana contenesse anche la parte centrale della città di Napoli, i nuovi dati indicano chiaramente che la collina di Posillipo rappresenta il limite Orientale della caldera flegrea, sia per il Tufo Giallo Napoletano che per l’Ignimbrite Campana. L’identificazione di Posillipo come limite orientale della caldera per tutte le eruzioni di collasso rappresenta un’indicazione importantissima per determinare correttamente la pericolosità vulcanica nel centro cittadino. Inoltre, la notevole superficialità dei prodotti eruttivi delle eruzioni anche molto antiche implica che, nel settore orientale della caldera, il volume dei prodotti eruttivi è molto minore di quanto accade nel settore Occidentale, quindi evidenziando genericamente un minor impatto delle eruzioni nel settore est, negli ultimi 47.000 anni”.

“Queste nuove importanti informazioni sull’evoluzione, la storia eruttiva ed i limiti strutturali della parte orientale della caldera permettono inoltre una sostanziale ri-valutazione della pericolosità vulcanica e degli stessi scenari eruttivi per la città di Napoli”, conclude De Natale.

fonte: ufficio stampa

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