Batteri antibiotico-resistenti, i neonati tra i soggetti più a rischio

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neonato-soloPavia, 9 giugno 2016 – Le infezioni costituiscono una delle principali cause di mortalità e morbilità in epoca neonatale, infatti ogni anno nel mondo oltre un milione di neonati muoiono per gravi infezioni e nel 2012 quasi sette milioni di neonati sono stati sottoposti a trattamento per patologie infettive batteriche. Gli antibiotici costituiscono la difesa più importante ed efficace a nostra disposizione per limitare le conseguenze a volte devastanti delle gravi infezioni, ma vengono spesso utilizzati in modo eccessivo e non sempre corretto provocando l’aumento di microrganismi multiresistenti.

Per la Società Italiana di Neonatologia (SIN) la sempre più frequente presenza di microrganismi multiresistenti rappresenta un pericolo estremamente serio per i piccoli pazienti e trovare soluzioni adeguate è una delle sfide prioritarie del prossimo decennio, che necessita di un’azione su due fronti: impegno delle case farmaceutiche e il rafforzamento della prevenzione, anche attraverso la regolamentazione dell’utilizzo ospedaliero.

La resistenza agli antibiotici dei batteri rappresenta una delle sfide più importanti per i prossimi anni della neonatologia. La Società Italiana di Neonatologia (SIN) interviene su un tema tornato d’attualità dopo il decesso della donna negli Stati Uniti e di cui si discute il 9 e 10 giugno a Pavia in occasione del VII Convegno Internazionale sulle infezioni neonatali.

Dott-Mauro-Stronati-presidente-SIN

Dott. Mauro Stronati

“La storia della scoperta di nuove classi di antibiotici ci insegna che l’emergere di resistenze avviene naturalmente non appena l’antibiotico viene utilizzato – afferma Mauro Stronati, presidente della SIN – Il quadro che emerge è quello di un mondo in cui “l’arsenale” per combattere i microrganismi è sempre più povero di mezzi: da un lato lo scarso investimento delle industrie farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole, dall’altra la circolazione su scala mondiale di batteri resistenti a pressoché tutti gli antibiotici già in commercio. È necessaria una presa di coscienza individuale e collettiva sul fenomeno, ma principalmente l’adozione di un protocollo rigoroso all’interno degli Ospedali e nelle cure che prevedono l’impiego di antibiotici”.

L’Italia è tra i Paesi più a rischio perché è tra quelli dove i batteri, a causa dell’uso massiccio di antibiotici negli ultimi tre decenni, sono divenuti più resistenti. Secondo lo European Centre for Disease Prevention and Control, infatti, il nostro Paese è al quinto posto per utilizzo giornaliero di antibiotici dopo Grecia, Francia, Lussemburgo e Belgio. È necessario quindi, volendone limitare la comparsa, modificare il modo di trattare le infezioni e il modo di utilizzare i farmaci antimicrobici che ancora si dimostrano efficaci.

Dei 4 milioni di decessi in epoca neonatale che avvengono ogni anno nel mondo, il 36%, quindi circa 1,4-1,5 milioni, sono causati da patologie infettive. Non ci sono, però, dati sulla percentuale di decessi causati dalle infezioni da germi multi-resistenti.

Un recentissimo studio americano (Clock e coll. 2016) su 1.320 neonati ricoverati in Terapia Intensiva Neonatale ha dimostrato che il 9% erano colonizzati (si potrebbe dire “portatori sani” anche se il termine non è proprio appropriato) da batteri portatori di almeno una resistenza antibiotica. L’utilizzo prolungato di antibiotici si associava ad un aumentato rischio di colonizzazione da germi resistenti.

Secondo i Neonatologi italiani il problema delle resistenze batteriche agli antibiotici va affrontato ad un duplice livello: locale e globale. È necessaria maggiore educazione alla prevenzione delle infezioni e alla prescrizione degli antibiotici; ed è un bene che gli organi di controllo competenti si muovano per definire politiche efficaci nel prevenire la minaccia di pandemie da microrganismi pan-resistenti. Per affrontare il problema è di fondamentale importanza che i governi promuovano la scoperta di nuove molecole attraverso programmi di ricerca e stabilendo accordi con le case farmaceutiche.

È importante, inoltre, che la prescrizione degli antibiotici sia strettamente regolamentata. Un documento recentemente pubblicato sul sito dell’ECDC (il Centro europeo di controllo e prevenzione delle malattie) incoraggia l’adozione, in ogni ospedale, di un “Antibiotic Stewardship Program”, con la creazione di infrastrutture che migliorino la collaborazione tra le strutture competenti e guidino i medici nelle prescrizioni, operando mediante un programma di sorveglianza, sia al momento della prescrizione che nel corso del trattamento. Poi bisogna puntare sulla prevenzione. Dove possibile e specialmente in contesti ospedalieri l’attenzione dovrebbe essere massimamente focalizzata sulla prevenzione più che sul trattamento delle infezioni. Tutti i presidi preventivi, primo fra tutti il lavaggio delle mani, dovrebbero essere massimamente incentivati negli ospedali.

Già nel 2013 la SIN aveva lanciato l’allarme – passato quasi inosservato – sull’incidenza dei rischi infettivi sul neonato classificando questo fenomeno come il “pericolo grigio”, che frequentemente si manifesta tardivamente, cioè dopo la dimissione, mettendo a repentaglio la salute del neonato. Nel 2014 poi la conferma del problema è arrivata dal Rapporto “Review on Antimicrobial Resistance” commissionato dal premier inglese David Cameron in seguito all’epidemia di neonati morti in India a causa dell’inefficacia di antibiotici.

L’approccio, secondo la SIN, deve essere basato su 4 principi da seguire. Innanzitutto il riconoscimento del problema da parte degli organi di controllo e dei governi, rendendolo pubblico mediante conferenze, rapporti, azioni. Da questo punto di vista, in verità, l’Italia si è già attivata con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin che recentemente ha confermato “il riconoscimento di questa emergenza come una priorità di sanità pubblica e la stessa è stata inserita nel macro-obiettivo del piano nazionale della prevenzione 2014-2018”. In secondo luogo avviare partnership tra pubblico e privato per la scoperta di nuovi antibiotici. Il terzo, ma non meno importante aspetto, è la prevenzione delle infezioni con vaccini e misure di igiene personale e nelle strutture. Infine la necessità di un programma nazionale di accesso agli antibiotici per tutti coloro che ne hanno bisogno ma con priorità di accesso ben definite:

  1. uso principalmente medico (limitando l’uso animale);
  2. prescrizione basata sulla diagnosi (ma richiederà che la ricerca investa in nuovi e più accurati metodi di diagnosi che permettano di definire subito il tipo di infezione e l’appropriatezza di una data terapia antibiotica);
  3. accesso agli antibiotici definito dai programmi di stewardship.

Gli “Antibiotic Stewardship”, sono task force di lavoro all’interno degli ospedali dove intervengono diversi specialisti con differente e complementare esperienza nell’ambito della terapia antibiotica, che serva ad assistere il medico durante la prescrizione del trattamento antibiotico, e che lo aiuti nelle decisioni di inizio, interruzione, prosecuzione di un dato trattamento per ogni paziente. Uno specifico programma di Stewardship antibiotica dovrebbe essere sviluppato per le unità di terapia intensiva neonatale, dal momento che le UTIN presentano problematiche del tutto peculiari.

Quali sono le infezioni da batteri multi-resistenti
I microrganismi che generano infezioni antibiotico-resistenti sono diversi, tra cui lo stafilococco aureo meticillino-resistente; enterococco resistente alla vancomicina; Pseudomonas aeruginosa resistente ai fluorochinoloni. Ancora più preoccupante è l’emergenza causata da microrganismi multi- o pan-resistenti (varie specie batteriche tra cui Pseudomonas, Klebsiella, E. coli, Acinetobacter, Enterobacter) che possono acquisire fattori di resistenza a pressoché tutti gli antibiotici attualmente in commercio. Tali “superbatteri”, come sono stati battezzati, possono diffondersi molto rapidamente da ospedale a ospedale e all’intero pianeta. È ciò che è avvenuto nell’ultima decade.

I microrganismi multi-resistenti patogeni per l’uomo, infatti, vengono solitamente isolati all’interno degli ospedali, a volte in corso di eventi epidemici; si diffondono poi all’interno dei reparti come le Terapie Intensive Neonatali e le Pediatrie e trasmessi da paziente a paziente o dall’ambiente al paziente, anche con l’involontario aiuto degli operatori sanitari. Negli ultimi anni molto lavoro è stato compiuto per promuovere l’utilizzo di mezzi semplici ed efficaci di prevenzione quale il lavaggio delle mani, e molto è ancora da fare per prevenire la trasmissione ospedaliera delle infezioni.

Dai singoli ospedali o centri di cura il rischio di diffusione ad altri centri dello stesso o di altri paesi è elevatissimo.

fonte: ufficio stampa

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